Testardo, ambizioso e – diciamolo pure – anche un po’ antipatico. Ma sampdoriano: l’unica cosa che conta, parafrasando la frase di un vecchio juventino. Giampiero Ventura, 68 anni, è il nuovo commissario tecnico della Nazionale italiana di calcio. Un record: è il primo genovese a ricoprire l’incarico che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo sognato o almeno accarezzato con il pensiero. Un genovese che, nonostante tutto (e spiegheremo il perché), sprizza blucerchiato da tutti i pori.
Tutti sanno che Ventura è nato a Cornigliano, il quartiere delle industrie pesanti. Molti si ricordano della sua unica stagione da allenatore della Sampdoria, partita bene e terminata con un bruciante quinto posto in serie B. Pochi hanno sentito parlare della sua infanzia, trascorsa tra il negozio di alimentari del papà, il settore giovanile della Samp e il “Luigi Ferraris”, dove ogni 15 giorni andava a stuzzicare la sua immaginazione di giovanissimo tifoso con le incornate di Brighenti e gli scambi palla a terra tra i suoi idoli di ragazzino: Tito Cucchiaroni e Lennart “Nacka” Skoglund.
Era la Sampdoria del quarto posto, stagione 1960/1961. “Libidine vera”, espressione riportata tra virgolette perchè sua. Un marchio di fabbrica, un concetto estrapolato dal repertorio comico di Jerry Calà per descrivere la professione più bella del mondo. Una battuta, detta scherzosamente ai tempi della sua esperienza da allenatore del Bari, che ha finito per fargli guadagnare l’appellativo di “mister libidine”. La stessa libidine che deve averlo preso negli anni Settanta. Allora Ventura si ritirava dopo una buona carriera nelle serie minori a causa di un’ernia del disco e lavorava come insegnante di ginnastica. Il calcio era solo un hobby, almeno fino alla chiamata della Sampdoria. E di Paolo Mantovani, che lo fa entrare nello staff tecnico societario.
Preparatore atletico, collaboratore tecnico e secondo di Canali, Giorgis e Toneatto. L’inizio di una lunga cavalcata che, terminato un lungo periplo dell’Italia, lo riporta a casa nel 1999. La Samp è in serie B (maledetti anni dispari), Ventura sembra l’uomo giusto per riportare i blucerchiati a cAsA. Ma a fine stagione la paura di vincere divora Vergassola & C., che si fanno sfuggire la promozione di un solo punto. Ventura è sulla bocca di tutti: trattato come un traditore e additato come primo responsabile del fallimento. L’uomo e il tifoso ci rimanfgono male. Malissimo.
È in quel momento che si rompe qualcosa. Scottato, irriso, deprecato da una famiglia che lo respinge improvvisamente dopo averlo coccolato per tanti anni, da una mamma che non gli rimbocca più le coperte prima di andare a dormire, nei tre lustri successivi Ventura non perde occasione per mostrare il suo dente avvelenato nei confronti della Sampdoria. Quando torna a Genova da avversario, è tutto un fiorire di frasi digrignate, decisioni arbitrali contestate, show circensi nella sua area tecnica.
Ma l’uomo è fatto così, prendere o lasciare. Orgoglioso e verace, tenace e vanitoso. Di lui i tifosi sampdoriani, che sanno amare come pochi ma odiare come nessuno, ricordano una frase infelice: “La Sampdoria mi ha cancellato la carriera”, con riferimento a quella maledetta stagione 1999/2000. Ma nella stessa intervista Ventura ribadiva il suo legame affettuoso con i colori blucerchiati, ringraziandoli “per avermi dato lavoro e visibilità”. Sarà un caso che nella biografia pubblicata sul suo sito ufficiale campeggi in bella vista la foto del suo primo tesserino da giocatore del “nuclei addestramento giovani calciatori” della Sampdoria? Io credo di no.
In bocca al lupo mister! E ci faccia una cortesia. Non convochi mai nessuno dei nostri. Così si riposano e non corrono il rischio di rompersi. Lei capirà…
ROBERTO BORDI