Mihajlovic è stato ricoverato in gravi condizioni. In omaggio al grande ex blucerchiato ripubblichiamo l’intervista che gli fece Roberto Bordi in occasione del suo 50esimo compleanno.
Forza Sinisa!
“Sono nato in un Paese dove non si è duri per scelta, ma per sopravvivere”. Quel Paese è la Serbia, anzi, la Jugoslavia. Tra i suoi massimi esponenti calcistici Sinisa Mihajlovic, che oggi compie 50 anni (era il 20 febbraio 2019, ndr).
Un traguardo festeggiato sulla panchina del Bologna, ultima tappa di una carriera infinita – prima da giocatore e poi da allenatore – che merita di essere raccontata e sviscerata in tutte le sue fasi, anche quelle meno felici. I 28 gol su punizione in Serie A, certo, segnati con le maglie di Roma, Sampdoria, Lazio e Inter. La tenera amicizia con il suo secondo padre Vujadin Boskov, l’unico capace di farlo sciogliere in un pianto commosso e liberatorio. Ma anche i 20 anni segnati dalla guerra in Jugoslavia, lui che era figlio di genitori serbo-croati. Il rapporto con la Tigre di Arkan. E tanto altro ancora.
“Mi piaceva calciare, non giocare a calcio”
Una piccola città della Croazia, al confine con la Serbia, passata alla storia per l’omonima battaglia che nel 1991 contrappose le truppe jugoslave e le forze di difesa croate. In palio c’era qualcosa di più delle costruzioni barocche che adornano il centro storico della cittadina: il futuro della Jugoslavia, che (anche) il carisma del maresciallo Josip Broz Tito aveva tenuto unita nell’omonima Repubblica Socialista Federale. Fino al 1991, quando la Croazia dichiara la sua indipendenza scatenando la reazione della JNA, la guardia nazionale jugoslava. Che, a fine anno, assedia e conquista Vukovar.
“Da piccolo non mi piaceva giocare a pallone, ma solo calciare. Ogni giorno facevo due km a piedi per arrivare a un campo dove c’era una porta grande, ma senza rete. Per quattro-cinque ore tiravo di continuo, senza mai fermarmi”. È su quel campetto che Sinisa affina la sua dote migliore: il calcio di punizione. La sua infanzia è felice. Il giovane Mihajlovic è un capellone, strano per un ragazzo a cui insegnano che la disciplina è tutto. Ed è tifoso della Stella Rossa, il club “serbo” per antonomasia. A 16 anni fa un provino con i crveno-beli, ma viene bocciato.
Poco male, ci arriverà nel 1991 giusto in tempo per vincere scudetto, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale. Sinisa è un esterno sinistro di centrocampo. Ha un bagaglio tecnico importante: piede, corsa, aggressività e lunghi capelli raccolti attorno a una “faccia da schiaffi”. A 22 anni Mihajlovic è già un leader. In Europa segna 5 gol in 10 partite, compreso quello – fortunoso – contro il Bayern Monaco fondamentale per centrare la finale di Bari dove i biancorossi di Belgrado battono ai calci di rigore l’Olympique Marsiglia. Racconta Domenico Arnuzzo, che allora era responsabile del settore giovanile della Sampdoria: “In quella stagione andai più volte a Belgrado per osservarlo. Era un talento incredibile, con qualità tecniche molto importanti, personalità e un carattere fortissimo”.
“Arkan? Ha salvato la vita a mio zio”
Prima di arrivare in Italia (“Ho sempre avuto il desiderio di venire da voi, mi è sempre piaciuto come Paese ma anche per il modo di giocare a calcio”), Mihajlovic gioca un altro anno a Belgrado. La Jugoslavia, però, è una polveriera. Solo un anno prima tifosi e calciatori di Stella e Dinamo Zagabria si erano scontrati prima di una partita di Prva Liga e un certo Zvonimir Boban aveva tirato un calcio a un agente di polizia. Ma è nel 1991 che crolla il castello jugoslavo, con la dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia. In Slovenia la guerra si accende e si spegne nel giro di 10 giorni, mentre in Croazia inizia a luglio per non finire mai. È questa, almeno, la sensazione degli abitanti di Vukovar, che si arrendono il 18 novembre dopo un’eroica e inutile resistenza. Nel mezzo fame, morte e distruzione a cui non sfugge neppure la casa natale di Sinisa Mihajlovic.
“Mia madre è croata, mio padre serbo. Quando si spostarono da Vukovar a Belgrado, mamma chiamò suo fratello Ivo e gli disse di venire a casa mia. La risposta di mio zio è stata: ‘Perché hai portato via tuo marito? Quel porco serbo doveva restare qui così lo scannavamo’. Il clima era questo”. Un conflitto etnico con bombe, stupri, violenze di massa e centinaia di persone scomparse nel nulla. C’era la mano della Tigre di Arkan, soprannome di Zeljko Raznatovic, che di Sinisa era amico. Lui non l’ha mai rinnegato. “Gli ho dedicato un necrologio. Era mio amico e capo dei tifosi della Stella Rossa. Con noi giocatori, del club e della nazionale jugoslava, si è sempre comportato bene. Aveva catturato mio zio Ivo, l’ha salvato dopo avermi chiamato al telefono. Ma non condivido i suoi crimini”. Precisazione necessaria, quella di Mihajlovic, accusato di voler difendere un assassino.
Sinisa segna 7 gol in 69 partite, conla maglia della Roma: niente male, ma più rigori sbagliati che punizioni“
Nell’estate 1994 Mihajlovic passa alla Sampdoria. Qui incontra un ex giallorosso come Sven-Goran Eriksson. Il tecnico svedese aveva lasciato nella Capitale un ricordo dolceamaro, con lo scudetto del 1987 sfumato dopo l’incredibile sconfitta casalinga contro il già retrocesso Lecce. Come spesso capita agli stranieri che non convincono al cento per cento nella loro prima esperienza in Serie A, nella tranquilla piazza genovese Sinisa si trasforma in uno dei giocatori più forti del campionato. Merito anche del secondo cambio di ruolo in pochi anni. Lui che nasceva esterno di centrocampo, complice l’infortunio di Carboni aveva arretrato il suo raggio di azione di qualche metro. Poi, in blucerchiato, da terzino sarebbe stato trasformato da Eriksson in centrale di difesa. Chi l’avrebbe mai detto?
“A Genova c’era un’atmosfera familiare. Conoscevo già Mancini oltre al mio compagno in nazionale Jugovic. Il mio spostamento al centro della difesa? Un’idea del mister durante una partita di Coppa Italia. Si era infortunato Franceschetti e Sven mi aveva detto di affiancare Mannini. Io sono disperato e gli chiedo che cosa devo fare. ‘Non ti preoccupare, stai in linea con la palla e quando ti arriva fai come quando giochi a centrocampo’. Ringrazio il mister perché la sua intuizione mi ha prolungato la carriera”. Come già successo a Roma, con gol all’esordio su punizione dopo appena quattro minuti nel match di Coppa Italia contro il Taranto, Sinisa segna al debutto in maglia blucerchiata. Ancora su calcio piazzato, con il solito mancino che si insacca all’incrocio dei pali. È il 28 agosto 1994 e la finale di Supercoppa Italiana tra Samp e Milan termina 1-1 ai tempi regolamentari. Si va ai rigori. Sinisa se lo fa parare da Rossi e il trofeo si tinge di rossonero. “In carriera ho sbagliato più rigori che punizioni”, racconterà divertito – ma con una punta di amarezza – Miha.
ll tiro dagli 11 metri non è la sua specialità. I tifosi doriani lo capiranno quasi a fine stagione, quando Mancini e compagni perderanno ai rigori la semifinale di Coppa delle Coppe contro l’Arsenal anche per colpa dell’errore, il secondo consecutivo, di Mihajlovic. In compenso, però, il pupillo di Boskov ed Eriksson fa innamorare il pubblico di Marassi con i suoi straordinari tiri da fermo. “Tira la bomba, Sinisa tira la bomba” cantano i tifosi in gradinata sud. Lui li accontenta, eccome se li accontenta. A fronte di una sola rete su calcio di punizione in due anni alla Roma, a Genova ne segna 11 sulle 12 marcature messe a segno in quattro anni alla Samp. “Il più bello? Difficile dirlo. Forse quello contro l’Udinese, anzi no, quello segnato al Bari nel 1997 alla prima panchina di Boskov” che aveva sostituito il “flaco” Menotti. Poi, nel 1998, con un anno di ritardo, raggiunge Lombardo e Mancini alla Lazio.
Ferron: “Quella maledetta tripletta…”
Quando Sinisa sbarca a Roma, la Lazio è una delle società più ambiziose del campionato. Dopo la vittoria della Coppa Italia e il quasi successo in Coppa Uefa, con i biancocelesti che si arrendono solo in finale all’Inter di Ronaldo e Zamorano, l’aquila vuole tornare a volare come ai tempi di “Long John” Chinaglia. Come sempre, il primo impatto di Mihajlovic sulla sua nuova squadra è positivo. La Lazio vince la Supercoppa Italiana in casa della Juventus, arriva seconda in campionato dietro al Milan e trionfa nell’ultima edizione della Coppa delle Coppe. In mezzo i 9 gol segnati dall’ormai ex centrocampista serbo, di cui 8 in campionato. Tre di questi nella stessa partita, tutti su punizione. Un primato che ha l’altra faccia della medaglia nel viso e nel ricordo del portiere che ha incassato quella tripletta.
Oggi Fabrizio Ferron è l’allenatore dei portieri delle nazionali italiane giovanili. Ma negli anni Novanta è stato uno dei portieri più importanti della Serie A, difendendo i pali di Atalanta e Sampdoria.
“Chi è Sinisa Mihajlovic? Un grande giocatore e un grande specialista, ma soprattutto un grande amico. Tutti ricordano quel ‘maledetto’ Lazio-Sampdoria, ma nessuno sa che quella è stata l’unica volta in cui Sinisa è riuscito a farmi gol”, racconta divertito. Nonostante sia la vittima di questo record, Ferron ne parla molto volentieri. “Prima di andare alla Lazio, è stato mio compagno di squadra alla Samp. Al primo impatto credevo di trovarmi davanti una persona molto dura. E invece Sinisa si è dimostrato, oltre che serio, simpatico e disponibile, non solo con me. Si trattava di un ragazzo di personalità e carisma: quando parlava, lo stavano tutti a sentire. Era un punto di riferimento per tutta la squadra”.
Immancabile, ai tempi della Samp, la sfida del venerdì. “Il momento più bello della settimana è quando si provavano le punizioni. Avevo di fronte da una parte Sinisa e dall’altra parte Veron”, ride. “Mi hanno allenato molto, è stato un periodo molto divertente. Se abbiamo mai messo in palio qualcosa? No, mai. Tra noi c’era un rapporto sincero, limpido e coinvolgente”. Almeno fino al 13 dicembre 1998 (si scherza). Il giorno di Lazio-Sampdoria 5-2, con il tris di Mihajlovic su calcio piazzato. “Quel giorno ricordo che Sinisa non stava bene: e se non stava bene, preferiva lasciare le punizioni ad altri. Ho pensato: ‘Che bello, un rompiscatole in meno…’. La prima punizione la calcia Veron: deviazione della barriera e calcio d’angolo. Lo va a battere Sinisa: non sente dolore. È lì che capisce di stare bene. E mi segna un gol dietro l’altro. Lui mi conosceva, sapeva che non mi muovevo fino all’ultimo. Se sono arrabbiato con lui? All’inizio un po’ sì, poi ho pensato: meglio lui che qualcun altro! Se ne abbiamo parlato? Certo, tutte le volte che ci vediamo”, racconta divertito Ferron che poi conclude: “Solo tre gol presi da Sinisa: se ci pensate è un’ottima media…”.
Nella prima stagione alla Lazio, Sinisa segna 8 gol in Serie A. Poi, con il passare degli anni, il numero di reti cala: diventano 6, 4, 0, 1, 1. In compenso, però, arriva una pioggia di trofei ad arricchire il suo palmarès. Indimenticabile lo scudetto 1999/2000, conquistato grazie al suicidio juventino tra le pozzanghere dello stadio “Curi” di Perugia. E poi 1 Supercoppa e 2 Coppe Italia, l’ultima al canto del cigno di Mihajlovic con l’aquila biancoceleste. Stagione 2003/2004, la finale con la Juventus si gioca su 180 minuti. All’andata, caricata dal pubblico dell’Olimpico, la Lazio di Roberto Mancini vince 2-0 grazie alla doppietta di Fiore. Sinisa è in panchina, ma al ritorno gioca titolare ed è protagonista della rimonta dal 2-0 al 2-2 che consente a Liverani e compagni di festeggiare la quarta Coppa Italia della storia della società romana. Mihajlovic capisce che è finita: saluta, ringrazia e va all’Inter.
Da giocatore ad allenatore
L’amicizia tra Roberto Mancini e Sinisa Mihajlovic prosegue a Milano, dove arrivano insieme nel 2004 per riportare a Moratti uno scudetto che manca da 25 anni. Il Mancio è un allenatore emergente, ma con le idee chiare. Ha già cominciato a trasmetterle a Mihajlovic, il quale sfrutta le sue ultime due stagioni da calciatore professionista per studiare le tattiche del suo mister. “Siamo come fratelli. Quando giocavamo insieme, a ogni gol subito dava sempre la colpa a noi difensori e io mi arrabbiavo. Ma poi facevamo pace. Se sono diventato un allenatore, lo devo a Roberto e per questo lo ringrazio”, ha raccontato una volta Mihajlovic. Il 2006 è l’anno spartiacque del calcio italiano e della carriera del difensore nato jugoslavo e diventato serbo. Da un lato Calciopoli, con la retrocessione in Serie B della Juventus e l’inaspettata vittoria dei Mondiali in Germania. Dall’altro l’addio al calcio di Sinisa, che con l’inizio della nuova stagione entra nello staff di Mancini come suo allenatore in seconda. “Io mi occupavo della fase difensiva, lui di quella offensiva”. Inevitabile ripensando ai loro ruolo in campo e ai frequenti litigi che svanivano in un abbraccio.
Un aneddoto sulle due stagioni in nerazzurro del Mihajlovic vice del Mancio? Lo racconta Dario Marcolin, allora collaboratore tecnico di Mancini e oggi commentatore tecnico di Dazn. “È stato un biennio irripetibile. Ibrahimovic era abituato a scherzare con tutti, ma non con Sinisa. Con lui aveva un certo timore reverenziale… Diciamo che con lui scherzava solo al 70 per cento! E poi quella volta con Dacourt… Era il suo compleanno e per festeggiarlo con la squadra il francese aveva portato a tavola una bottiglia di Krug! Dacourt chiede a Sinisa: ‘Mister, ti piace questa bottiglia eh?’. Come a dire, guarda che champagne di qualità ti faccio bere. La risposta di Sinisa, fantastica: ‘Io con questa bottiglia ci lavo la macchina!’, e tutta la squadra piegata in due dal ridere”, scherza Marcolin.
Esaurito il suo mandato in nerazzurro, Mihajlovic si tuffa nella sua prima avventura in solitaria: è il 3 novembre 2008 e a 40 anni ancora da compiere accetta l’incarico di nuovo allenatore del Bologna al posto di Daniele Arrigoni. È l’inizio di una nuova era, in cui Sinisa riesce a ritagliarsi una posizione di tutto rispetto nel campionato italiano. In Emilia va così così e ad aprile rimedia il primo esonero in carriera, poi va a Catania dove porta la squadra alla salvezza con record di punti e una vittoria a Torino con la Juventus che agli etnei mancava dal 1963. Sinisa è un tipo tosto, ambizioso. È giovane, ma mira subito a una panchina prestigiosa. Lo ingaggia la Fiorentina, dove è chiamato a non far rimpiangere Prandelli. A Firenze porta con sè il fido Marcolin che già lo aveva affiancato in Sicilia. Conclude il primo anno al 9° posto per poi essere cacciato nel novembre del secondo anno.
Marcolin: “Ecco chi è davvero Sinisa”
Ma che uomo è davvero Mihajlovic? La palla passa ancora a Marcolin. “Sinisa passa per essere un duro. In realtà ha il cuore d’oro, soprattutto con la moglie, i figli e gli amici. Diciamo che è più duro nella sfera professionale che in quella familiare. Me lo ricordo da calciatore: era sempre severo con se stesso, attentissimo a mangiare il giusto e a riposarsi bene. Ha sempre avuto una personalità forte, oltre a una straordinaria abilità sui calci piazzati. Ai tempi della Lazio cercavamo tutti di imitarlo: io, Veron, Nedved e Conceição. Ma non c’era niente da fare, lui era l’unico a riuscire a imprimere alla palla l’effetto top speed che la fa scendere all’ultimo. Erano momenti di grande divertimento, ci volevamo bene e ogni volta era una lotta contro Marchegiani e Ballotta”.
E come allenatore? “È uno che fin dai tempi dell’Inter studia ed è molto innovativo. Lavora molto sulle palle inattive ed elabora situazioni tattiche particolari per sorprendere l’avversario. E poi sa lavorare come pochi sulla testa dei suoi giocatori. È il tecnico ideale per quelle situazioni in cui la squadra difetta di personalità e fatica a trovare soluzioni efficaci in fase offensiva. C’è chi lo taccia di difensivismo ma in realtà ama giocare all’attacco. Ha grande pedigree e carisma. Il suo modulo preferito è il 4-3-3 che può diventare 4-2-3-1, ma in realtà è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Differenze con il Mancio? Al c.t. azzurro piacciono molto i centrocampisti di inserimento e gli scambi di posizione tra i giocatori, mentre Sinisa è più sulla tattica e sullo stare in campo. “.
Le ultime esperienze: Serbia, Milan e Torino
Dopo la complicata esperienza alla Fiorentina, nel 2013 Mihajlovic diventa il nuovo c.t. della Serbia. Nell’anno e mezzo trascorso sulla panchina della nazionale serba non riesce a centrare l’obiettivo della qualificazione ai Mondiali di Brasile 2014. Allo stesso tempo, è protagonista di un’accesa polemica con il fantasista Adem Ljajic. Tra i due c’è una scarsa intesa dovuta a ragioni non solo tecnico-tattiche. Infatti Ljajic è nato a Novi Pazar, capoluogo di una regione balcanica a prevalenza musulmana, il Sangiaccato. Un verso dell’inno della Serbia recita: “Dio salva, Dio nutre / il Re serbo, il popolo serbo”. Il 20 maggio 2012 Ljajic, prima dell’amichevole con la Spagna, si rifiuta di cantarlo. Mihajlovic non si fa troppi problemi e lo caccia: “Con me l’inno si canta. Chi non lo fa sta fuori”.
D’altronde Mihajlovic non ha mai nascosto di sentirsi fieramente serbo: “Ho vissuto con Tito, sono più comunista di tanti. Se nazionalista vuol dire patriota, se significa amare la mia terra e la mia nazione, beh sì lo sono. Con Tito esistevano valori, famiglia, un’idea di patria e popolo. Quando è morto la gente è andata per mesi sulla sua tomba. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo, insieme all’Italia che io amo e che oggi si sta rovinando”, ha raccontato una volta Mihajlovic al Corriere di Bologna. Tornando al calcio, nel 2013 Mihajlovic torna a casa: lo prende la Sampdoria, penultima in classifica e a serio rischio retrocessione. Il primo incontro con la stampa è indimenticabile: “Questo è un club prestigioso, con 67 anni di storia. E se qualcuno dei miei giocatori questa storia non la conosce, gliela ricorderò io. Cosa dirò alla squadra? Non chiedetevi cosa può fare la Sampdoria per voi, ma cosa voi potete fare per la Sampdoria”. Conquista una comoda salvezza, mentre l’anno dopo centra un eccellente settimo posto.
Il resto è storia recente. Nel 2015 lascia i blucerchiati per accettare l’offerta del Milan. Il rapporto con la dirigenza e il presidente Berlusconi è complicato, la squadra non è di alto livello e Sinisa non riesce a ottenere grandi risultati. In realtà, è proprio Mihajlovic a intuire le potenzialità di un giovanissimo portiere, il 16enne Gianluigi Donnarumma.
Tutti lo prendono per pazzo, lui fa di testa sua e lo porta in prima squadra facendolo giocare titolare al posto dell’esperto Diego Lopez. Una mossa azzardata che “dimostra la sua capacità di prendere decisioni importanti”, spiega l’ex dirigente sampdoriano Arnuzzo. Tesi condivisa anche da Ferron: “Quando ho visto Donnarumma in Serie A ho pensato: finalmente un allenatore che non guarda all’età, ma ai valori tecnici”.
Conquista la finale di Coppa Italia, ma la sconfitta interna contro la Juventus gli costa la panchina. Poco male perché il 25 maggio 2016 il Torino lo ufficializza come nuovo allenatore granata. È l’inizio di un rapporto tormentato, chiuso dopo un anno e mezzo dopo il ko nel derby della Mole. Proprio contro la Juventus, qualche tempo prima, aveva perso un’altra partita finendo per litigare con Vialli. “Ma quale fallo, Gianluca: stai dicendo una bestemmia calcistica”. Solo l’ultimo (o il primo?) di una lunga serie di litigi con i giornalisti. Chi sono? Dare un’occhiata su YouTube, prego. Molti di loro, si sa, non lo amano. Lui, cordialmente, ricambia. “O stai con me o contro di me”. Parola del sergente Mihajlovic.
guardo festeggiato sulla panchina del Bologna, ultima tappa di una carriera infinita – prima da giocatore e poi da allenatore – che merita di essere raccontata e sviscerata in tutte le sue fasi, anche quelle meno felici. I 28 gol su punizione in Serie A, certo, segnati con le maglie di Roma, Sampdoria, Lazio e Inter. La tenera amicizia con il suo secondo padre Vujadin Boskov, l’unico capace di farlo sciogliere in un pianto commosso e liberatorio. Ma anche i 20 anni segnati dalla guerra in Jugoslavia, lui che era figlio di genitori serbo-croati. Il rapporto con la Tigre di Arkan. E tanto altro ancora.
“Mi piaceva calciare, non giocare a calcio”
Una piccola città della Croazia, al confine con la Serbia, passata alla storia per l’omonima battaglia che nel 1991 contrappose le truppe jugoslave e le forze di difesa croate. In palio c’era qualcosa di più delle costruzioni barocche che adornano il centro storico della cittadina: il futuro della Jugoslavia, che (anche) il carisma del maresciallo Josip Broz Tito aveva tenuto unita nell’omonima Repubblica Socialista Federale. Fino al 1991, quando la Croazia dichiara la sua indipendenza scatenando la reazione della JNA, la guardia nazionale jugoslava. Che, a fine anno, assedia e conquista Vukovar.
“Da piccolo non mi piaceva giocare a pallone, ma solo calciare. Ogni giorno facevo due km a piedi per arrivare a un campo dove c’era una porta grande, ma senza rete. Per quattro-cinque ore tiravo di continuo, senza mai fermarmi”. È su quel campetto che Sinisa affina la sua dote migliore: il calcio di punizione. La sua infanzia è felice. Il giovane Mihajlovic è un capellone, strano per un ragazzo a cui insegnano che la disciplina è tutto. Ed è tifoso della Stella Rossa, il club “serbo” per antonomasia. A 16 anni fa un provino con i crveno-beli, ma viene bocciato.
Poco male, ci arriverà nel 1991 giusto in tempo per vincere scudetto, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale. Sinisa è un esterno sinistro di centrocampo. Ha un bagaglio tecnico importante: piede, corsa, aggressività e lunghi capelli raccolti attorno a una “faccia da schiaffi”. A 22 anni Mihajlovic è già un leader. In Europa segna 5 gol in 10 partite, compreso quello – fortunoso – contro il Bayern Monaco fondamentale per centrare la finale di Bari dove i biancorossi di Belgrado battono ai calci di rigore l’Olympique Marsiglia. Racconta Domenico Arnuzzo, che allora era responsabile del settore giovanile della Sampdoria: “In quella stagione andai più volte a Belgrado per osservarlo. Era un talento incredibile, con qualità tecniche molto importanti, personalità e un carattere fortissimo”.
“Arkan? Ha salvato la vita a mio zio”
Prima di arrivare in Italia (“Ho sempre avuto il desiderio di venire da voi, mi è sempre piaciuto come Paese ma anche per il modo di giocare a calcio”), Mihajlovic gioca un altro anno a Belgrado. La Jugoslavia, però, è una polveriera. Solo un anno prima tifosi e calciatori di Stella e Dinamo Zagabria si erano scontrati prima di una partita di Prva Liga e un certo Zvonimir Boban aveva tirato un calcio a un agente di polizia. Ma è nel 1991 che crolla il castello jugoslavo, con la dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia. In Slovenia la guerra si accende e si spegne nel giro di 10 giorni, mentre in Croazia inizia a luglio per non finire mai. È questa, almeno, la sensazione degli abitanti di Vukovar, che si arrendono il 18 novembre dopo un’eroica e inutile resistenza. Nel mezzo fame, morte e distruzione a cui non sfugge neppure la casa natale di Sinisa Mihajlovic.
“Mia madre è croata, mio padre serbo. Quando si spostarono da Vukovar a Belgrado, mamma chiamò suo fratello Ivo e gli disse di venire a casa mia. La risposta di mio zio è stata: ‘Perché hai portato via tuo marito? Quel porco serbo doveva restare qui così lo scannavamo’. Il clima era questo”. Un conflitto etnico con bombe, stupri, violenze di massa e centinaia di persone scomparse nel nulla. C’era la mano della Tigre di Arkan, soprannome di Zeljko Raznatovic, che di Sinisa era amico. Lui non l’ha mai rinnegato. “Gli ho dedicato un necrologio. Era mio amico e capo dei tifosi della Stella Rossa. Con noi giocatori, del club e della nazionale jugoslava, si è sempre comportato bene. Aveva catturato mio zio Ivo, l’ha salvato dopo avermi chiamato al telefono. Ma non condivido i suoi crimini”. Precisazione necessaria, quella di Mihajlovic, accusato di voler difendere un assassino.
Sinisa segna 7 gol in 69 partite, conla maglia della Roma: niente male, ma più rigori sbagliati che punizioni”
Nell’estate 1994 Mihajlovic passa alla Sampdoria. Qui incontra un ex giallorosso come Sven-Goran Eriksson. Il tecnico svedese aveva lasciato nella Capitale un ricordo dolceamaro, con lo scudetto del 1987 sfumato dopo l’incredibile sconfitta casalinga contro il già retrocesso Lecce. Come spesso capita agli stranieri che non convincono al cento per cento nella loro prima esperienza in Serie A, nella tranquilla piazza genovese Sinisa si trasforma in uno dei giocatori più forti del campionato. Merito anche del secondo cambio di ruolo in pochi anni. Lui che nasceva esterno di centrocampo, complice l’infortunio di Carboni aveva arretrato il suo raggio di azione di qualche metro. Poi, in blucerchiato, da terzino sarebbe stato trasformato da Eriksson in centrale di difesa. Chi l’avrebbe mai detto?
“A Genova c’era un’atmosfera familiare. Conoscevo già Mancini oltre al mio compagno in nazionale Jugovic. Il mio spostamento al centro della difesa? Un’idea del mister durante una partita di Coppa Italia. Si era infortunato Franceschetti e Sven mi aveva detto di affiancare Mannini. Io sono disperato e gli chiedo che cosa devo fare. ‘Non ti preoccupare, stai in linea con la palla e quando ti arriva fai come quando giochi a centrocampo’. Ringrazio il mister perché la sua intuizione mi ha prolungato la carriera”. Come già successo a Roma, con gol all’esordio su punizione dopo appena quattro minuti nel match di Coppa Italia contro il Taranto, Sinisa segna al debutto in maglia blucerchiata. Ancora su calcio piazzato, con il solito mancino che si insacca all’incrocio dei pali. È il 28 agosto 1994 e la finale di Supercoppa Italiana tra Samp e Milan termina 1-1 ai tempi regolamentari. Si va ai rigori. Sinisa se lo fa parare da Rossi e il trofeo si tinge di rossonero. “In carriera ho sbagliato più rigori che punizioni”, racconterà divertito – ma con una punta di amarezza – Miha.
ll tiro dagli 11 metri non è la sua specialità. I tifosi doriani lo capiranno quasi a fine stagione, quando Mancini e compagni perderanno ai rigori la semifinale di Coppa delle Coppe contro l’Arsenal anche per colpa dell’errore, il secondo consecutivo, di Mihajlovic. In compenso, però, il pupillo di Boskov ed Eriksson fa innamorare il pubblico di Marassi con i suoi straordinari tiri da fermo. “Tira la bomba, Sinisa tira la bomba” cantano i tifosi in gradinata sud. Lui li accontenta, eccome se li accontenta. A fronte di una sola rete su calcio di punizione in due anni alla Roma, a Genova ne segna 11 sulle 12 marcature messe a segno in quattro anni alla Samp. “Il più bello? Difficile dirlo. Forse quello contro l’Udinese, anzi no, quello segnato al Bari nel 1997 alla prima panchina di Boskov” che aveva sostituito il “flaco” Menotti. Poi, nel 1998, con un anno di ritardo, raggiunge Lombardo e Mancini alla Lazio.
Ferron: “Quella maledetta tripletta…”
Quando Sinisa sbarca a Roma, la Lazio è una delle società più ambiziose del campionato. Dopo la vittoria della Coppa Italia e il quasi successo in Coppa Uefa, con i biancocelesti che si arrendono solo in finale all’Inter di Ronaldo e Zamorano, l’aquila vuole tornare a volare come ai tempi di “Long John” Chinaglia. Come sempre, il primo impatto di Mihajlovic sulla sua nuova squadra è positivo. La Lazio vince la Supercoppa Italiana in casa della Juventus, arriva seconda in campionato dietro al Milan e trionfa nell’ultima edizione della Coppa delle Coppe. In mezzo i 9 gol segnati dall’ormai ex centrocampista serbo, di cui 8 in campionato. Tre di questi nella stessa partita, tutti su punizione. Un primato che ha l’altra faccia della medaglia nel viso e nel ricordo del portiere che ha incassato quella tripletta.
Oggi Fabrizio Ferron è l’allenatore dei portieri delle nazionali italiane giovanili. Ma negli anni Novanta è stato uno dei portieri più importanti della Serie A, difendendo i pali di Atalanta e Sampdoria.
“Chi è Sinisa Mihajlovic? Un grande giocatore e un grande specialista, ma soprattutto un grande amico. Tutti ricordano quel ‘maledetto’ Lazio-Sampdoria, ma nessuno sa che quella è stata l’unica volta in cui Sinisa è riuscito a farmi gol”, racconta divertito. Nonostante sia la vittima di questo record, Ferron ne parla molto volentieri. “Prima di andare alla Lazio, è stato mio compagno di squadra alla Samp. Al primo impatto credevo di trovarmi davanti una persona molto dura. E invece Sinisa si è dimostrato, oltre che serio, simpatico e disponibile, non solo con me. Si trattava di un ragazzo di personalità e carisma: quando parlava, lo stavano tutti a sentire. Era un punto di riferimento per tutta la squadra”.
Immancabile, ai tempi della Samp, la sfida del venerdì. “Il momento più bello della settimana è quando si provavano le punizioni. Avevo di fronte da una parte Sinisa e dall’altra parte Veron”, ride. “Mi hanno allenato molto, è stato un periodo molto divertente. Se abbiamo mai messo in palio qualcosa? No, mai. Tra noi c’era un rapporto sincero, limpido e coinvolgente”. Almeno fino al 13 dicembre 1998 (si scherza). Il giorno di Lazio-Sampdoria 5-2, con il tris di Mihajlovic su calcio piazzato. “Quel giorno ricordo che Sinisa non stava bene: e se non stava bene, preferiva lasciare le punizioni ad altri. Ho pensato: ‘Che bello, un rompiscatole in meno…’. La prima punizione la calcia Veron: deviazione della barriera e calcio d’angolo. Lo va a battere Sinisa: non sente dolore. È lì che capisce di stare bene. E mi segna un gol dietro l’altro. Lui mi conosceva, sapeva che non mi muovevo fino all’ultimo. Se sono arrabbiato con lui? All’inizio un po’ sì, poi ho pensato: meglio lui che qualcun altro! Se ne abbiamo parlato? Certo, tutte le volte che ci vediamo”, racconta divertito Ferron che poi conclude: “Solo tre gol presi da Sinisa: se ci pensate è un’ottima media…”.
Nella prima stagione alla Lazio, Sinisa segna 8 gol in Serie A. Poi, con il passare degli anni, il numero di reti cala: diventano 6, 4, 0, 1, 1. In compenso, però, arriva una pioggia di trofei ad arricchire il suo palmarès. Indimenticabile lo scudetto 1999/2000, conquistato grazie al suicidio juventino tra le pozzanghere dello stadio “Curi” di Perugia. E poi 1 Supercoppa e 2 Coppe Italia, l’ultima al canto del cigno di Mihajlovic con l’aquila biancoceleste. Stagione 2003/2004, la finale con la Juventus si gioca su 180 minuti. All’andata, caricata dal pubblico dell’Olimpico, la Lazio di Roberto Mancini vince 2-0 grazie alla doppietta di Fiore. Sinisa è in panchina, ma al ritorno gioca titolare ed è protagonista della rimonta dal 2-0 al 2-2 che consente a Liverani e compagni di festeggiare la quarta Coppa Italia della storia della società romana. Mihajlovic capisce che è finita: saluta, ringrazia e va all’Inter.
Da giocatore ad allenatore
L’amicizia tra Roberto Mancini e Sinisa Mihajlovic prosegue a Milano, dove arrivano insieme nel 2004 per riportare a Moratti uno scudetto che manca da 25 anni. Il Mancio è un allenatore emergente, ma con le idee chiare. Ha già cominciato a trasmetterle a Mihajlovic, il quale sfrutta le sue ultime due stagioni da calciatore professionista per studiare le tattiche del suo mister. “Siamo come fratelli. Quando giocavamo insieme, a ogni gol subito dava sempre la colpa a noi difensori e io mi arrabbiavo. Ma poi facevamo pace. Se sono diventato un allenatore, lo devo a Roberto e per questo lo ringrazio”, ha raccontato una volta Mihajlovic. Il 2006 è l’anno spartiacque del calcio italiano e della carriera del difensore nato jugoslavo e diventato serbo. Da un lato Calciopoli, con la retrocessione in Serie B della Juventus e l’inaspettata vittoria dei Mondiali in Germania. Dall’altro l’addio al calcio di Sinisa, che con l’inizio della nuova stagione entra nello staff di Mancini come suo allenatore in seconda. “Io mi occupavo della fase difensiva, lui di quella offensiva”. Inevitabile ripensando ai loro ruolo in campo e ai frequenti litigi che svanivano in un abbraccio.
Un aneddoto sulle due stagioni in nerazzurro del Mihajlovic vice del Mancio? Lo racconta Dario Marcolin, allora collaboratore tecnico di Mancini e oggi commentatore tecnico di Dazn. “È stato un biennio irripetibile. Ibrahimovic era abituato a scherzare con tutti, ma non con Sinisa. Con lui aveva un certo timore reverenziale… Diciamo che con lui scherzava solo al 70 per cento! E poi quella volta con Dacourt… Era il suo compleanno e per festeggiarlo con la squadra il francese aveva portato a tavola una bottiglia di Krug! Dacourt chiede a Sinisa: ‘Mister, ti piace questa bottiglia eh?’. Come a dire, guarda che champagne di qualità ti faccio bere. La risposta di Sinisa, fantastica: ‘Io con questa bottiglia ci lavo la macchina!’, e tutta la squadra piegata in due dal ridere”, scherza Marcolin.
Esaurito il suo mandato in nerazzurro, Mihajlovic si tuffa nella sua prima avventura in solitaria: è il 3 novembre 2008 e a 40 anni ancora da compiere accetta l’incarico di nuovo allenatore del Bologna al posto di Daniele Arrigoni. È l’inizio di una nuova era, in cui Sinisa riesce a ritagliarsi una posizione di tutto rispetto nel campionato italiano. In Emilia va così così e ad aprile rimedia il primo esonero in carriera, poi va a Catania dove porta la squadra alla salvezza con record di punti e una vittoria a Torino con la Juventus che agli etnei mancava dal 1963. Sinisa è un tipo tosto, ambizioso. È giovane, ma mira subito a una panchina prestigiosa. Lo ingaggia la Fiorentina, dove è chiamato a non far rimpiangere Prandelli. A Firenze porta con sè il fido Marcolin che già lo aveva affiancato in Sicilia. Conclude il primo anno al 9° posto per poi essere cacciato nel novembre del secondo anno.
Marcolin: “Ecco chi è davvero Sinisa”
Ma che uomo è davvero Mihajlovic? La palla passa ancora a Marcolin. “Sinisa passa per essere un duro. In realtà ha il cuore d’oro, soprattutto con la moglie, i figli e gli amici. Diciamo che è più duro nella sfera professionale che in quella familiare. Me lo ricordo da calciatore: era sempre severo con se stesso, attentissimo a mangiare il giusto e a riposarsi bene. Ha sempre avuto una personalità forte, oltre a una straordinaria abilità sui calci piazzati. Ai tempi della Lazio cercavamo tutti di imitarlo: io, Veron, Nedved e Conceição. Ma non c’era niente da fare, lui era l’unico a riuscire a imprimere alla palla l’effetto top speed che la fa scendere all’ultimo. Erano momenti di grande divertimento, ci volevamo bene e ogni volta era una lotta contro Marchegiani e Ballotta”.
E come allenatore? “È uno che fin dai tempi dell’Inter studia ed è molto innovativo. Lavora molto sulle palle inattive ed elabora situazioni tattiche particolari per sorprendere l’avversario. E poi sa lavorare come pochi sulla testa dei suoi giocatori. È il tecnico ideale per quelle situazioni in cui la squadra difetta di personalità e fatica a trovare soluzioni efficaci in fase offensiva. C’è chi lo taccia di difensivismo ma in realtà ama giocare all’attacco. Ha grande pedigree e carisma. Il suo modulo preferito è il 4-3-3 che può diventare 4-2-3-1, ma in realtà è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Differenze con il Mancio? Al c.t. azzurro piacciono molto i centrocampisti di inserimento e gli scambi di posizione tra i giocatori, mentre Sinisa è più sulla tattica e sullo stare in campo. “.
Le ultime esperienze: Serbia, Milan e Torino
Dopo la complicata esperienza alla Fiorentina, nel 2013 Mihajlovic diventa il nuovo c.t. della Serbia. Nell’anno e mezzo trascorso sulla panchina della nazionale serba non riesce a centrare l’obiettivo della qualificazione ai Mondiali di Brasile 2014. Allo stesso tempo, è protagonista di un’accesa polemica con il fantasista Adem Ljajic. Tra i due c’è una scarsa intesa dovuta a ragioni non solo tecnico-tattiche. Infatti Ljajic è nato a Novi Pazar, capoluogo di una regione balcanica a prevalenza musulmana, il Sangiaccato. Un verso dell’inno della Serbia recita: “Dio salva, Dio nutre / il Re serbo, il popolo serbo”. Il 20 maggio 2012 Ljajic, prima dell’amichevole con la Spagna, si rifiuta di cantarlo. Mihajlovic non si fa troppi problemi e lo caccia: “Con me l’inno si canta. Chi non lo fa sta fuori”.
D’altronde Mihajlovic non ha mai nascosto di sentirsi fieramente serbo: “Ho vissuto con Tito, sono più comunista di tanti. Se nazionalista vuol dire patriota, se significa amare la mia terra e la mia nazione, beh sì lo sono. Con Tito esistevano valori, famiglia, un’idea di patria e popolo. Quando è morto la gente è andata per mesi sulla sua tomba. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo, insieme all’Italia che io amo e che oggi si sta rovinando”, ha raccontato una volta Mihajlovic al Corriere di Bologna. Tornando al calcio, nel 2013 Mihajlovic torna a casa: lo prende la Sampdoria, penultima in classifica e a serio rischio retrocessione. Il primo incontro con la stampa è indimenticabile: “Questo è un club prestigioso, con 67 anni di storia. E se qualcuno dei miei giocatori questa storia non la conosce, gliela ricorderò io. Cosa dirò alla squadra? Non chiedetevi cosa può fare la Sampdoria per voi, ma cosa voi potete fare per la Sampdoria”. Conquista una comoda salvezza, mentre l’anno dopo centra un eccellente settimo posto.
Il resto è storia recente. Nel 2015 lascia i blucerchiati per accettare l’offerta del Milan. Il rapporto con la dirigenza e il presidente Berlusconi è complicato, la squadra non è di alto livello e Sinisa non riesce a ottenere grandi risultati. In realtà, è proprio Mihajlovic a intuire le potenzialità di un giovanissimo portiere, il 16enne Gianluigi Donnarumma.
Tutti lo prendono per pazzo, lui fa di testa sua e lo porta in prima squadra facendolo giocare titolare al posto dell’esperto Diego Lopez. Una mossa azzardata che “dimostra la sua capacità di prendere decisioni importanti”, spiega l’ex dirigente sampdoriano Arnuzzo. Tesi condivisa anche da Ferron: “Quando ho visto Donnarumma in Serie A ho pensato: finalmente un allenatore che non guarda all’età, ma ai valori tecnici”.
Conquista la finale di Coppa Italia, ma la sconfitta interna contro la Juventus gli costa la panchina. Poco male perché il 25 maggio 2016 il Torino lo ufficializza come nuovo allenatore granata. È l’inizio di un rapporto tormentato, chiuso dopo un anno e mezzo dopo il ko nel derby della Mole. Proprio contro la Juventus, qualche tempo prima, aveva perso un’altra partita finendo per litigare con Vialli. “Ma quale fallo, Gianluca: stai dicendo una bestemmia calcistica”. Solo l’ultimo (o il primo?) di una lunga serie di litigi con i giornalisti. Chi sono? Dare un’occhiata su YouTube, prego. Molti di loro, si sa, non lo amano. Lui, cordialmente, ricambia. “O stai con me o contro di me”. Parola del sergente Mihajlovic.
27 commenti
Personaggio controverso e discutibile, so che molti doriani lo detestano visceralmente, personalmente lo ringrazierò in eterno per averci salvato da una retrocessione certa nella stagione 2013/14 e, per quanto può valere, lo rispetterò sempre e comunque, a meno che non vada ad allenare quegli altri…
Soprattutto un’ uomo di parola con il naso lungo come Pinocchio mi spiace ma per me vale 0
Consiglierei di vedere la replica della trasmissione “rabona” con sinisa ospite e di riflettere su Ferrara e Zenga..
Mi meraviglia la lunghezza del poema eroico…fosse Boskov.
La lunghezza ha stupito anche me. Ma mi spiegate l’astio verso Sinisa? E’ per essersene andato dopo il settimo posto?
Sempre pronti a giustificare tutti belin che tifoseria buonista ma siete tutti del PD ? Mihajlović ci ha mollato per andare ad allenare una squadra che parole sue mai avrebbe allenato i giocatori perdono in casa con squadre gramme facendo pena e qualcuno applaude Ferrero ci prende per il culo e va bene chi si permette di fare considerazioni oggettive non è un vero Sampdoriano. Tra qualche anno stadio quasi deserto ma qualcuno sarà sempre pronto a dire pochi ma buoni. Dividi et impera
Cosa c’entra Luigi il buonismo e il Pd? Questo è un blog di calcio, non di politica
Luigi
sei libero di non credermi ma ti posso assicurare che Mihajlovic quando ci ha “lasciato” non aveva nessun accordo con altre società, ebbe solo dei contatti ( mi sembra col Napoli…) ma nulla più, se fai una ricerca in rete penso ancora che troverai il comunicato ufficiale del Milan datato 2 o 3 giugno 2015 nel quale la società rossonera annuncia che non sarà Ancelotti il loro nuovo allenatore, quindi il “ripiego” su Mihajlovic che semplicemente riteneva terminato il suo percorso qui da noi e ambìva ad una panchina più prestigiosa, sono professionisti e purtroppo la SAMPDORIA di oggi non può essere il punto di arrivo per giocatori o allenatori che abbiano un pò di ambizione, dispiace ma la realtà è questa…
*PPC Mihajlovic è detestato da una buona parte della tifoseria sia per alcune dichiarazioni del suo periodo qui da mister ma soprattutto per la sua esultanza quando ci fece quella famosa tripletta su punizione quando giocava nella Lazio e per il fatto che per molti nella parte finale del 1998 in vista del Mondiale tirò indietro la gamba…trai tu le conclusioni:-)
Visto che la buttiamo in politica…delirio per delirio…onore a sinisa e al popolo serbo, morte agli ustascia croati
Premesso che ho l’umiltà di pensiero che a volte si possano scrivere inesattezze io per primo per quanto riguarda il buonismo di alcuni avrei anche potuto scrivere per non buttarla in politica con una battuta: come quello che trova la moglie a letto con l’amante e si sente dire: tesoro l’idraulico è scivolato. Sempre pronto a fare un passo indietro
Per una volta sono piú vicino a PPC e a El Cabezon, e meno con Luigi e Solodoria.
Io ho amato Sinisa come giocatore, ed anche come allenatore: mi affascinavano da giocatore il suo carisma dentro e fuori dal campo, e la sua ineguagliabile lecca di sinistro che spaventava anche quelli che andavano in barriera.
Da allenatore mi sono sempre piaciute le sue caratteristiche di motivatore e fustigatore, oltre che il suo gioco semplice, maschio, e verticale. Ha fatto giocare la Samp direi bene, con Okaka che faceva a sportellate con mezza squadra avversaria, e lo stadio era pieno ogni domenica.
Al di sopra di tutto questo, ho sempre apprezzato di lui il carattere come UOMO, dicendo sempre quello che pensa, anche quando è scomodo (vedi casi Arkan, famiglia, Samp, potentati calcistici, ecc.).
Mi è piaciuto quando afferma di sentirsi in debito con la Sampdoria e di voler saldare questo debito, di sentire la Genova Blucerchiata come casa sua, e anche -udite udite- quando disse che sarebbe andato via prima di avere un contratto con un’altra squadra.
Non oso immaginare cosa avrebbe fatto Mihajilovic con una squadra come quella che aveva GP l’anno scorso, Duvan al posto di Okaka..
Non me ne vogliano gli amici di questo forum, ma io mi riconosco molto di piú come visione di calcio e di vita.
Guardo che a me piace sinisa, forse sono stato frainteso,concordo su tutto col tuo post
Scusa Solodoria. Hai ragione…
Sui serbi ero serio…mia nipote si chiama markovic per cui son di parte, poi so benissimo che generalizzare non ha senso
io sul conflitto in ex-jugoslavia ho idee diverse dalla maggior parte delle persone: per certi versi sono con te sui serbi (le Krajne, le enclaves in Bosnia e soprattutto il Kosovo), per altri versi storicamente i croati hanno piú vicinanza con noi (escluse foibe Dalmazia e Istria che erano e dovrebbero ancora essere italiane), mentre i mussulmani di Bosnia erano un esempio di integrazione, prima dei massacri.
Ma questo é ovviamente un argomento che andrebbe trattato altrove (lo farei con estremo piacere)
Un abbraccio.
Caro Luigi non sei solo ;-))) sul tema Sinisa. Da allenatore ci ha salvato nel 2013/14 e probabilmente in quella situazione era uno dei pochi a poterci riuscire. Per questo gli sia dato gratitudine. come persona non mi convinceva neanche ai tempi in cui giocava da noi. Poi sempre con questi autoproclami di duro….
Ciao Osch grazie per la solidarieta’ :-)) ognuno ha le sue idee ci mancherebbe guai se la pensassimo tutti allo stesso modo, sai che noia è normale volevo solo stigmatizzare che non mi sembra con noi abbia avuto un comportamento molto corretto dopodichè la vita è questa morto un papa se ne fa un’altro.
Speriamo che il papa che siede sulla nostra panca attualmente certo non muoia ma lo facciano abdicare come ratzinger
Su questa tua analisi Solodoria concordo pienamente
Quello che avevo trovato fastidioso era stato l immediato riconoscimento di slovenia e croazia da parte di germania e…santa sede ed in seguito che un governo di sinistra di un italia che ripudierebbe la guerra come risoluzione delle controversie internazionali avesse serenamente concesso le sue basi militari da cui partire per bombardare ponti ed aeroporti serbi terrorizzando la popolazione civile…ma tanto loro erano i cattivi…comunque se vuoi scrivimi ad avvgianninichiocciolaemailpuntoit e ci scambiamo i numeri di cell
concordo con te.
non solo abbiamo dato le basi, ma abbiamo fatto anche noi bombardamenti selvaggi e criminali.
L
Era la risposta per luca che stava in brasile mi scuso con tutti se e’finito qui
Se proprio debbo dirvelo ritengo questo dibattito disgustoso, di fronte a gravi problemi di salute ci vuole solidarietà, per tutti, non polemiche
Ciao semarco il dibattito degli utenti riportato in calce all articolo e’ di febbraio, non di adesso, quando si discuteva della figura di sinisa sotto altri aspetti, si fosse sviluppato adesso avresti ragione, forse non aveva senso riproporre commenti che si riferiscono ad aktro
Scusate, non me ne ero accorto
Scavalcherai anche questa barriera, FORZA SINISA!!!
Ei ei un momento il vero Luigi sono io non confondiamo le idee a tutti non sono io a scrivere su Sinisa mi toccherà cambiare nome o mettere Luigi 1 comunque già che siamo in tema un augurio di pronta guarigione all’uomo qui il calcio esula in maniera totale. Un saluto a tutti