Seconda lettera a Ferrero scritta da Roberto C, autore delle Memorie Blucerchiate
Qualche tempo dopo averle scritto la mia lettera, che è una richiesta di commiato da parte sua, mi sono vista recapitare una missiva che, per la verità, mi ha un poco illusa, immaginando che fosse, appunto, una sua risposta in merito. Mi sbagliavo, ovviamente. Basta guardare il suo volto e subito si percepisce che lei non è il tipo da prendere carta e penna, perché queste, si sa, sono abitudini di vecchi gentiluomini. Ma nemmeno servirsi della stampa attraverso un normale computer, o più semplicemente di una e-mail per la quale l’invio non le dovrebbe essere così difficile conoscendo, ovviamente, il mio indirizzo per il recapito. Certo il massimo, non lei, intendo, sarebbe stato un confronto vis a vis, dirimpetto uno all’altra, ma ciò non è possibile, essendo io, come ben sa, una creatura immateriale che per la bisogna ha sempre necessità di un intermediario. E comunque, aprendo la busta, mi sono trovata di fronte ad un invito molto particolare da parte di un mio vecchio amico che da molti anni, per un trasferimento di lavoro, risiede nella Capitale ed in particolare nel quartiere Testaccio, un rione “de Roma” che di più non si può e che lei conosce molto bene. Lui dice che è un posto veramente unico dove si respira la classica “aria di romanità” e si possono ascoltare le chiacchiere dei suoi abitanti per strada. Il suo posto di lavoro è invece a Trastevere, uno dei luoghi più incantevoli della città. Ma, come direbbe Donnie Brasco, “ che te lo dico a fare!”, di queste cose lei sa già tutto molto meglio di me e del mio amico. E come vede anche ora, con la citazione del celebre film di Mike Newell, con il mitico Al Pacino, siamo dalle magiche parti del cinema, cioè il mondo a lei più confacente e al quale dovrebbe far ritorno, pur se, le confesso, amici miei, probabilmente un po’ troppo intellettuali, mi hanno riferito che le sue produzioni non sono granché, forse un po’ troppo di grana grossa, e comunque non passeranno alla storia della Settima Arte. Ma, giustamente, lei risponderebbe, alla maniera della Sora Lella, “Ma che me frega”, in fondo piacciono al grande pubblico, ed è quello che conta.
Ma forse mi sto dilungando troppo e quasi dimenticavo il motivo per cui le sto scrivendo questa seconda lettera. C’erano due fogli nella busta che mi ha inviato il mio amico. Nel primo parla dei nostri rapporti e del fatto che ci vediamo a Roma due volte l’anno quando, con la mia compagnia, devo onorare il simbolo che da sempre sta sulle maglie che rappresentano la mia essenza più pura e che, a parere unanime, pare proprio formato dai più bei colori del mondo. E spera, l’anno prossimo, di non dover fare, per vederci, i 90 chilometri che separano Roma da Frosinone. Ma queste sono cose private che a quanto pare a lei interessano poco o niente. Nell’altro volantino, invece, ci sono delle istruzioni molto interessanti, e gliele trascrivo nella loro interezza. Ecco il testo integrale:
“Cara amica ho letto con molto interesse la lettera che hai scritto al mio, ormai posso dirlo, concittadino, anzi addirittura dello stesso quartiere, il quale, in questi ultimi anni, si è buttato in un’avventura più grande di lui, che oltretutto non si confà al suo mondo di appartenenza. Anzi, se devo proprio essere più preciso, non ricordo nella storia del calcio un personaggio di tal foggia alla guida di una società calcistica. Ai miei tempi c’erano figure che oggi, alla luce di ciò che offre il “misero” mercato, si possono ben definire mitiche e mi riferisco ai vari Moratti, Fraizzoli, Viola, Dallara e soprattutto al nostro indimenticabile Paolo Mantovani, e tu ne sai qualcosa. Erano Presidenti in “doppiopetto” nel senso stretto della parola, ma anche nel modo di rappresentarsi con quella compostezza che li caratterizzava e che recava una sorta di immagine, se posso usare quest’aggettivo, forse improprio ma così suggestivo, quasi mistica. Erano la raffigurazione incarnata di ciò che nel calcio si trasforma in leggenda. Io, in particolare, ricordo, quando ancora abitavo a Genova, quell’atmosfera così unica, a questo punto posso ben dire favolosa ed epica, che si respirava fin dai tempi dell’insediamento del nostro amato Paolo, quando la sola sua presenza irradiava una specie di luce quasi trascendente. Forse uso dei termini un po’ azzardati, specie se adattati ad un mondo specificatamente ludico, ma se la vita si manifesta sempre sotto gli aspetti “umani, troppo umani”, come direbbe Nietzsche, che sono poi il senso che ad essa si dà, allora anche questo mondo può avere la sua legittimazione che merita, a patto che non tradisca la giusta linea comportamentale. Ma vedo che mi sto dilungando troppo. In effetti ti ho contattata perché, pur apprezzando molto il contenuto della tua lettera, scritta nel tuo stile che ben conosco, in modo così garbato, civile e molto gradevole, al tempo stesso vorrei convincerti che il lessico da usare, in circostanze come questa, è completamente diverso, specie se indirizzato alla persona che noi conosciamo. E quindi ti do un suggerimento e cerca di riscrivere i tuoi desideri in un altro modo, sarai un po’ volgare ma non importa. Ecco parti così:
‘Ce lo sai o no che sta’ storia ha da finì? Che stai mica a rosicà? Se ce l’hanno tutti con te ce sarà pure una ragione! O no? Anvedi questo che vol star a dispetto de li santi. Ma te pare giusto? Nun t’areggiamo più e quindi, al più presto, vedi d’annattene. Me pari proprio ‘n ciocco de legno, te possino… E quindi, a Mà, te dico, con affetto e sentimento, meno te vedo e mejo me sento!”
Penso, mia cara e adorata Sampdoria, che così dovrebbe andare meglio, anche se, conoscendo il personaggio, non ti garantisco il successo pieno. Almeno abbiamo tentato in modo più confacente.
Il tuo sempre affezionato amico.
Massimo C.
E qui riprendo la mia, di lettera, concludendo che, in un modo o nell’altro, lei dovrebbe capire cosa è più giusto fare,. E comunque, per aiutarla, la saluto con un aforisma di un geniaccio delle sue parti che dovrebbe conoscere: “ La lumachella de la Vanagloria / ch’era strisciata sopra un obelisco / guardò la bava e disse : Già capisco / che lascerò un’impronta ne la Storia.”
(Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri detto Trilussa)
Mai stata sua,
U. C. Sampdoria
3 commenti
Lettera a Roberto: alcuni mesi fa scrissi qualcosa di simile sul personaggio trattato nell’articolo ovviamente con un linguaggio meno forbito e qualcuno mi accusò di pessimismo cronico. Quante persone hanno provato a far desistere “l’uomo” a cedere la società? Tante, risultato? Il vuoto assoluto io li chiamo muri di gomma non ce’ verso vai a sbattere, ti rodi la bile ma tutto rimane fermo in questi cervelli ( usiamo un’eufemismo) malati di protagonismo e consci almeno su questo che la nostra amata Samp è attualmente l’unica fonte di reddito. Sui concordati mi sono già espresso ( santi in paradiso?) credo di si. Capitolo Ramirez, già scritto anche questo, qualora vada abbondantemente sotto i parametri economici rientra altrimenti addio. Infatti il suo procuratore ha già fatto intuire che difficilmente il ragazzo indosserà nuovamente la maglia blucerchiata. Quando parliamo di vendere i giocatori e qualcuno si stupisce mi domando cosa ha fatto ferrero sino ad ora? plusvalenze per rimanere sulla linea di galleggiamento quindi nulla di nuovo sul fronte occidentale come scrisse Remarque. Concludo caro Roberto, siamo malati, destinati a una lunga agonia sportiva.
geniale e appassionata, ma prosa, contenuti e l’opportunissima citazione del grande Trilussa sono roba troppo alta per un ominide che striscia nel fango e vuole trascinarci dentro tutti quanti, in un “cupio dissolvi” che in realtà distrugge solo gli altri
EG ce l’ha dato e dobbiamo tenercelo fino al dissolvimento. I nostri sogni li ha già uccisi da tempo, Appunto: che je frega a lui?.
bellissima lettera…..purtroppo indirazza ad un ignorante cosmico che mai la capirà……il suo obittivo è uccidere la sampdoria e purtroppo sta riuscendo a farlo,,,,,