Appuntamento con Roberto, autore delle Memorie Blucerchiate, memoria storica del tifo doriano. In attesa del derby più infuocato degli ultimi decenni, Roberto ci racconta le sue sensazioni.
Mentre certi alti papaveri della politica mondiale, indegni figli di Dostoevskij e Tolstoj, Tchaikovsky e Stravinsky, minacciano la Terza Guerra Mondiale, e con essa la fine della nostra civiltà (si fa per dire) e quindi di quelle tradizioni che sono il sale della vita, dalle nostre parti ci accingiamo ad intraprendere una battaglia incruenta se misurata su questi paradigmi ma assai importante per quell’aspetto ludico senza il quale la vita stessa perderebbe molto del suo senso. Come ad esempio il gioco del calcio.
A proposito: non guarderò il derby. Non ci riesco.
In genere è sempre stato così per me; in questi frangenti non sono per niente un osservatore flemmatico e impassibile. Ma che dico! E’ così per tutti i tifosi, lo so. Ma per me c’è un’aggravante dovuta ad una forte dose di passionalità che non mi permette di vedere una partita per quella che è, appunto un confronto tra due squadre, in questo caso particolarmente rivali. Nella disputa provo qualcosa che va oltre il semplice risultato del campo. E’ un turbinio mentale che mi impedisce di accettare la sconfitta della Sampdoria e di converso mi ha sempre posto in una posizione di estrema fatica nell’assistere ad un incontro qualsiasi, figuriamoci il derby. Sono come Giampiero Boniperti che usciva dallo stadio alla fine del primo tempo. Nella “partita del campanile” il mio desiderio sarebbe quello di vedere sempre il pallone nella metà campo avversaria perché il solo fatto che possa giungere dalle nostre parti mi crea una forte dose di ansia con la possibilità che possa varcare la linea della nostra porta. Dovrei andare dallo psicanalista, ne sono conscio.
Ad esempio ricordo i tanti gol che non ho visto, a partire dalla mitica rovesciata di Maraschi il 17 marzo 1974 che portò un pareggio insperato in una triste stracittadina in cui le due squadre erano in fondo alla classifica, la Samp addirittura ultima a 11 punti. Mentre la Sud impazziva di gioia io ero già a Brignole e ascoltai della prodezza dalla radiolina di un passante. Ovviamente ero già lontano da Marassi l’8 maggio 2011 quando il carneade Boselli ci condannò alla retrocessione. Forse me lo sentivo che quel recupero ci sarebbe stato fatale.
Se voglio fare un’analisi il più possibile serena di questo confronto, che ogni anno si ripete almeno due volte, devo dire che per me ne esistono quattro tipologie.
• C’è il derby in cui una squadra è tranquilla e l’altra pericolante
• Poi quello in cui sono ambedue in alto, come nel 1991
• O ancora come adesso nei bassifondi
• Infine quando le due squadre sono a metà classifica ed il risultato non produce altro che la famosa supremazia cittadina.
Nel primo caso la sconfitta per chi sta molto sotto in classifica è senz’altro motivo di disperazione.
Nel secondo non ci sono feriti ma solo la gioia del vincitore per avere battuto una squadra che nel futuro immediato gli darà un grosso dispiacere vincendo lo scudetto.
Nel terzo invece, come avverrà sabato, ci sono due squadre disperate che con un pareggio molto probabilmente scenderanno a braccetto nella serie inferiore. E non è detto che si salvino con una vittoria.
Forse, con un ragionamento equidistante dalle due tifoserie, l’unico derby inteso come festa della città è quello del quarto caso nel quale la sconfitta non determina situazioni particolari e il risultato a favore dell’una o dell’altra si risolve nei soliti sfottò. Questo lo potrei anche vedere senza uscire prima dallo stadio.
E poi c’è un fatto molto importante e riguarda Genova che non merita un derby da miserabili. Anche il tifo più coreografico di ambedue le parti perde del tutto la sua valenza perché limitato ad una realtà molto infelice che tale viene considerata dagli osservatori esterni che magari parleranno in termini di simpatico folklore ma naturalmente priveranno ambedue le squadre di quella considerazione che meriterebbe la nostra città. E voglio essere chiaro mi riferisco al solito antagonismo che alla lunga diventa merce avariata se avviene in un contesto dal quale gli altri, gli esterni, non si sentono più parte in causa. E’ solo un fatto meramente provinciale.
Detto questo, in qualità di nativo ed abitante di una città che amo e vorrei sempre in alto in tutte le classifiche possibili, ora mi devo accingere a vivere questo supplizio nell’unico modo che attualmente mi è possibile. Guardando ogni tanto il telefonino “spillando” dall’alto in basso il risultato e sperando di vedere nella casella della Samp un numero diverso da zero e che invece sia l’unica cifra nella parte avversa. Ma si può vivere così? Però se penso ad “altri” possibili “missili” ci metto comunque la firma. A sabato sera!