Riceviamo e pubblichiamo l’articolo del grande blucerchiato Roberto C.
Si può parlare in un blog che trasuda sentimenti blucerchiati di qualcun altro che ha vissuto luoghi diversi rispetto ai nostri spazi mentali?
Sì, se questo è stato uno dei più grandi calciatori che abbiano attraversato i verdi campi di calcio di quello che fu il più importante campionato del mondo.
Mi piace immaginarlo, ora, lassù, nello spazio in cui la trascendenza si mescola al ricordo, e vederlo accogliere dal suo vecchio amico e sodale Omar Sivori, il nostro Antonio Valentin Angelillo, che con lui e l’ancor vivo Humberto Maschio formò il mitico trio degli “angeli con la faccia sporca”.
Se n’è andato così, semplicemente, nel silenzio consolidato dei suoi ottant’anni, così lontano dai clamori di un’epoca lontana per la quale si può dire che questo sport così amato era davvero la metafora di una nuova vita in divenire dopo gli anni pesanti in cui i conflitti transnazionali avevano annullato quel po’ di senso di unione e fratellanza che ancora albergava nelle patrie proto-europee.
Argentino di Buenos Aires lo ricordiamo per due cose importanti e particolari: è tuttora il recordman per reti segnate (33 – 1958/59) in campionati a 18 squadre e purtroppo deve l’inizio della sua “rovina” all’incontro con un suo connazionale che preda di una forte e narcisistica visione del mondo ”footbaliero“ decise che quel giocatore non poteva stare nella sua squadra perché gli faceva ombra, e si sa, due galli in un pollaio difficilmente fraternizzano.
Il Mago, Helenio Herrera, lo accusò di frequentare i night club milanesi e di darsi alla dolce vita perché si incontrò con una ballerina dal nome sudamericano, Ilya Lopez, ma di fatto italiana di Brescia, Attilia Tironi era il suo vero nome. Ma tanto bastò per il giubilamento di un uomo cui fu attribuita fama di donnaiolo, ubriacone e gran fumatore ma come precisò lui stesso in un’intervista “bevo un bicchiere di vino a pasto, e neanche tutti i giorni, non ho mai fumato una sigaretta in vita mia e da molti anni credo di essere un buon marito e un buon padre.”
Alla fine degli anni Cinquanta i calciatori sudamericani in Italia trasmettevano un senso di esoticità che portava ad immaginare la vita in quei paesi lontani come qualcosa di irraggiungibile. I mezzi di informazione non avevano ancora globalizzato il pianeta. Ceduto alla Roma Angelillo ha vinto l’unico scudetto, paradossalmente, con la maglia del Milan giocando solo tre partite e segnando un gol (1967-1968) per poi finire, l’anno dopo, in serie B in una squadra della nostra Regione… . Qualcuno dirà che alla fine ha avuto ragione H.H. perché poi con il sostituto Luisito Suarez e C. ha costruito la Grande Inter degli scudetti e soprattutto delle Coppe dei Campioni e Coppe Intercontinentali ma a noi interessa il ricordo dell’”uomo” e di un periodo della nostra vita che è senz’altro irripetibile perché ci trasporta in un tempo in cui il calcio era gioco e poesia, e le domeniche, dopo i canonici rituali, portavano frenesia per la partita e quel senso di attesa per il risultato che spesso si riverberava sui tabelloni verdi che molti bar delle città ponevano all’esterno per la bramosia di quei tifosi che magari erano andati al cinema o a ballare.
In quel momento, alle cinque della sera, a noi interessava solo cercare una parola, magica, insostituibile nel cuore, Sampdoria e sperare che vicino ad essa campeggiasse un numero sempre superiore a quello dell’altra squadra.
Nell’anno incantato di Angelillo (1958) era quasi matematico subirne le conseguenze come quel 6 aprile a Milano quando ci fece una doppietta con un gol straordinario con “sombrero” e tiro al volo imparabile per il nostro Bardelli. Ma Firmani e Bolzoni fecero il miracolo e portammo a casa un insperato pareggio. Bei tempi in cui le formazioni erano un mantra mentale ed erano numerate dall’ 1 all’11. Sattolo, Vincenzi, Marocchi ecc….o quella che tutta Italia conosceva senza ombra di barriere ideologiche, Sarti, Burgnich, Facchetti….. Guardo la foto di Antonio Valentin e mi viene un tuffo al cuore. Come passa il tempo!
Adios gran pateador!
8 commenti
Bellissimo articolo, complimenti
Ricordo che era un bambino e mio padre mi porto allo stadio a vedere Sampdoria vs Inter. La Samp fece un primo tempo meraviglioso. gli allora vecchietti blucerchiati di Eraldo Monzeglio disputarono 45 minuti eccelsi e il risultato rispecchiò la partita 2-0 per noi. Il secondo tempo l’Inter si scatenò e rimonto le reti di svantaggio e andò addirittura sul 3-2. Mio padre era solito andare via, come molti allora, 2 minuti prima della fine della partita e mentre scendevamo i gradoni dei distinti, con la Samp tutta protesa all’ attacco, Angelillo da metà campo vide il nostro portiere Rosin scivolare e cadere da solo a terra e lui tirò e fece un insperato gol. La partita finì 4-2. Io conclusi quella giornata tra le lacrime di un bambino deluso ed amareggiato per un finale nefasto.
Racconto bellissimo, nulla da eccepire ma…perchè celebrare un calciatore che con la SAMPDORIA non ha avuto alcun legame ed ha addirittura giocato con la rivale cittadina?
Caro Silverfox spero tanto che tu sia stato con tuo papà a Marassi il 2 aprile 1961. Era giorno di Pasqua, e pioveva, pioveva……ma la Samp stese l’Inter di Herrera per 4-2 con quattro(!) gol di colui che a fine campionato fu capocannoniere con 27 reti (Sergio Brighenti). Che giornata indimenticabie! Mio fratello ed io,ragazzi, da tanto tempo avevamo messo da parte i soldi per andare in tribuna proprio per quella partita. Un vezzo ripagato con un ricordo incancellabile e meraviglioso.
A El Cabezon voglio dire che, di fronte alla grandezza e, in altri campi, alla genialità bisogna sempre inchinarsi e mai ereggere muri ideologici. Non è che io non mi inchini,ad esempio, ad Alfredo Di Stefano, la “saeta rubia” solo perchè non ha giocato nella Sampdoria. Anzi ricordo che in un amichevole al Ferraris(16 settembre 1959) persa contro il mitico Real Madrid dell’epoca (4-0) il primo gol lo fece proprio Di Stefano e l’ultimo l’immenso e unico DIDI’. e, come si dice in questi casi, IO C’ERO. Non arrabbiarti, quindi, i miti sono nel Pantheon anche se hanno giocato in una certa squadra.
C’ero era il campionato del quarto posto. Sattolo, Vincenzi, Marocchhi, Bergamaschi, Bernasconi, Vicini, Toschi, Ocwirk, Brigheti, Skoglund, Cucchiaroni. Allenatore Eraldo Monzeglio. Il rimpianto fu che se non avessimo venduto a Gennaio Mora alla Juventus (che vinse lo scudetto) per Lojodice e vredo 165 milioni avremmo vinto lo scudetto. In casa solo tre pareggi e tutte vittorie. Una delle partite più belle della Samp prima di Mantovani.
E come sempre concordo con El cabezon allora parliamo anche di Maradona e Platini anche se sono ancora in vita se incensiamo quelli morti c’è ne da raccontare che hanno fatto vedere i sorci verdi ai nostri amati colori.
Per carità, non volevo urtare la sensibilità di nessuno e se involontariamente l’ho fatto chiedo sinceramente scusa…
Personalmente per quanto io sia tifoso credo di essere anche sostanzialmente sportivo e non ho problemi a tessere lodi ed elogi nei confronti di chicchessia, anche se non legato ai nostri colori…
Se chi cura il blog decide di aprire uno spazio per dedicarlo a personaggi, calcistici e non che hanno lasciato un’emozione a me va non bene ma benissimo, lo leggerò con molto piacere, è che nello specifico una lode ad un calciatore non legato ai nostri colori e che per giunta ha vestito la maglia della rivale cittadina mi è sembrata un tantino fuori luogo, tutto qui, nessunissima polemica:-)
Vorrei aggiungere una postilla al mini-dibattito. Essendo venuto a conoscenza della morte di Angelillo ho sentito il bisogno di scrivere il mio ricordo perchè il pensiero mi ha portato nel mondo della mia giovinezza, un tempo che ricordo con un forte senso d’amore e nostalgia. L’ultima cosa che mi è venuta in mente è la sua breve appartenenza, per di più a fine carriera, nella squadra innominabile. Però lasciatemi dire anche un’altra cosa. Non è perchè era (devo proprio dire la parola…..) genoano che io non ritenga DE ANDRE’ un grande genio i cui testi dovrebbero essere insegnati nelle Università. Non mi è mai piaciuto l’ essere rinchiuso in un angusto recinto mentale. Un caro saluto a tutti.