E’ lapalissiano che la Sampdoria odierna abbia bisogno di ogni aiuto possibile. Serve il sostegno, serve il vigore, serve il culo e un milione di altri tasselli per poter gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Vista la voragine che i nostri giocatori mostrano ogni domenica sul piano della convinzione, questa settimana abbiamo deciso di chiedere un consiglio per capire come si possa infondere sicurezza e mentalità in chi ne è sprovvisto.
Sapendo da fonti anonime che Delio ci legge accanitamente (e smulina sovente i pugni al cielo dopo aver visionato i nostri articoli), siamo certi che un suggerimento possa essere utile al nostro allenatore per risollevare le difese psicologiche dei nostri sperduti ragazzi.
Caro Delio, se poi ti serve il contatto diretto del nostro fantastico mental coach, contattaci in pvt!
Abbiamo dunque rivolto sei semplici domande a Daniele Litterio, abruzzese di Lanciano, il quale ha sviluppato nel corso degli anni la professione di Mental Trainer, Coach e formatore conseguendo la prestigiosa qualifica di Coach Professionista con certificazione NPL Italy (l’unica scuola per coach italiana ad essere abilitata PNL -Programmazione Neuro Linguistica- dal suo ideatore Richard Bandler) con un Master in Coaching Sportivo EKIS, Master in Allenamento Mentale HRD. Da sempre segue con successo politici, insegnanti, allenatori e giocatori sportivi. Oggi vogliamo parlare con lui di Sampdoria, un luogo in cui la parola successo non è la benvenuta da troppo, troppo tempo.
Ciao Daniele, sono anni che per la squadra di calcio Sampdoria si sente parlare di problemi psicologici, di atteggiamento poco determinato ed insicurezza cronica. Ci puoi spiegare brevemente, pur non conoscendo l’ambiente da vicino, come si arriva ad avere una mentalità così sbagliata tra i professionisti e come si possa risolvere la situazione?
Ciao a tutti e grazie per le domande. Concordo con la tua premessa: non conosco l’ambiente dal “di dentro”, né il Mister, per cui le mie risposte non possono che essere generiche seppur puntuali.
Premettendo che nell’essere umano determinazione, ambizione e carattere sono risorse innate, ed in particolare negli sportivi agonisti sono particolarmente accentuate, può accadere che nelle dinamiche di una squadra si verifichino, come dire, “cali di tensione”. Le cause possono essere molteplici, quali relazioni interpersonali conflittuali, poca chiarezza nei ruoli, assenza di un obiettivo chiaro e stimolante, oppure un obiettivo troppo alto da raggiungere. Compito del tecnico, del suo staff, della società è costruire il gruppo con un percorso che ristabilisca dinamiche relazionali funzionali, anche individuando ruoli chiari all’interno della squadra; fornire un obiettivo chiaro, specifico, sfidante, raggiungibile. E occorre saper parlare al cuore e alla testa: i giocatori sono innanzitutto persone.
In che modo un mental coach può aiutare un allenatore di calcio a risolvere questi conflitti?
Un mental coach può solo essere di supporto all’allenatore. Avendo una competenza specifica sull’analisi delle dinamiche relazionali e sulla comunicazione efficace, può aiutarlo nell’individuare le caratteristiche mentali dei giocatori al fine di costruire un gruppo con ruoli di leader e di gregari chiari; può aiutarlo altresì a migliorare la propria comunicazione col gruppo.
Notiamo da anni come in questa squadra manchi un vero e proprio leader in campo. L’allenatore può sostituirsi ad esso? E poi, leader si nasce o si diventa?
Senz’altro prevale l’idea che lo si diventi. La gran parte delle caratteristiche mentali sono determinate dall’interazione con l’ambiente e le persone circostanti. Sono le convinzioni che sviluppiamo su noi stessi che ci rendono ciò che siamo. In fondo ognuno di noi nella vita si trova a svolgere a volte il ruolo di leader, a volte no. Diverso è avvertire la necessità di avere un leader efficace: ossia un giocatore positivo, propositivo, carismatico, trascinatore. In questo caso se possibile lo si sceglie nel momento in cui si costruisce il gruppo; oppure si rende consapevole colui che è il leader riconosciuto dalla squadra di quanto può incidere sul gruppo e a tal proposito lo si responsabilizza. L’allenatore può esserlo: ma cosa accadrà in caso di sua assenza? E quale autonomia avranno i suoi atleti?
Delio Rossi, degno rappresentante di un calcio di altri tempi è da sempre riconosciuto come autentico motivatore. Lo scorso anno ha però faticato nel raggiungere l’obiettivo e quest’anno la squadra ha iniziato con lo stesso, drammatico piglio: inconsistente e poco determinata. Il mister sostiene che non servono nè maghi nè stregoni nè psicologi. Secondo te un mental coach può intervenire e, se si, come per ottenere risultati apprezzabili?
Come ti ho già detto nella seconda domanda, il mental coach è uno specialista dell’allenamento mentale. Alla pari con il medico, il fisioterapista, il preparatore atletico o quello dei portieri, può costituire un supporto per l’allenatore. Tutti gli allenatori hanno una grande preparazione nei campi sopracitati ma talvolta può non essere sufficientemente approfondita. Per questo si rivolgono agli specialisti. In modo da concentrarsi su organizzazione, pianificazione, allenamento tecnico e tattico, studio dell’avversario. La domanda è: è importante la preparazione mentale nello sport? Può essere d’aiuto uno specialista del settore?
Si sente spesso parlare gli allenatori afflitti da poca convinzione, problemi di testa, problemi di atteggiamento e mancanza di cattiveria agonistica. Che consigli puoi dare agli allenatori ed agli sportivi che ci seguono su SampGeneration?
Anche qui ti rispondo con delle domande: cosa sono convinzione, cattiveria, atteggiamento? Sono termini generici o sequenze di pensiero strategico allenabili e replicabili? Cosa sono i problemi di testa? L’allenatore conosce con esattezza come funziona la testa e come si interviene? L’allenatore deve chiedersi: quanto tempo/studio dedico alla mia competenza sugli aspetti mentali?
Perchè secondo te questa figura, che è ormai usuale nel calcio professionistico di paesi calcisticamente più vincenti della povera Italia quali Inghilterra, Germania e Spagna, fatica così tanto a trovare spazio da noi?
Ritengo innanzitutto che ci sia un’abitudine strutturale a dover fare un po’ tutto. Gli allenatori sono abituati ad anni di gavetta in cui devono occuparsi dalle casacche alla conduzione della partita. Questo sviluppa notevoli conoscenze e a volte la convinzione di saper far tutto. La figura del mental coach, ancora scarsamente conosciuta nelle sue competenze, può destare il timore che metta in discussione il ruolo centrale dell’allenatore: nulla di più falso! Infine c’è il solito problema italiano dell’arrivare in ritardo: quando da noi si riteneva che la tecnica fosse tutto in Olanda si giocava il “calcio totale”. Può darsi che prima o poi oltre a ripetersi come un mantra “nello sport tutto dipende dalla testa”, qualcuno comincerà a chiedersi: come si allena la testa?
Spero di essere stato un po’ utile… Un grande in bocca al lupo alla Samp e a Mister Delio Rossi!
1 commento
Sono perfettamente d’accordo con Daniele Litterio sul fatto con in Italia rischiamo di arrivare tardi sulla gestione degli aspetti emotivi, mentali e relazionali.
Qualche precursore che si è affidato al mental coach, inoltre, lo ha chiamato in momenti di crisi. Il mental coach, invece, deve essere visto come il preparatore fisico solo che si occupa della preparazione mentale degli atleti.