In vista dell’attesa finale degli Europei fra Inghilterra e Italia a Wembley, pubblichiamo l’interessante articolo di Roberto C, grande tifoso doriano, autore delle Memorie Blucerchiate, e occhio acuto sui fatti di oggi e di ieri
Parola dunque a Roberto.
Prima che inizi la finale del Campionato Europeo di calcio credo sia necessario fare qualche considerazione socio, politica e sportiva nei confronti dell’Inghilterra, avversaria dell’Italia.
E chiarisco subito che si tratta di critiche. Innanzitutto nei confronti di un popolo che in passato è stato degno di ammirazione specie durante l’ultima guerra ed in particolare mi riferisco alla celebre prolusione di Winston Churchill quando, il 13 maggio 1940, nel discorso al Parlamento disse di non aver nulla da offrire “se non sangue, fatica, lacrime e sudore”. Il popolo reagì come credo nessun altro avrebbe potuto fare e ciò è ben documentato nel film del 2017 “L’ora più buia” diretto da Joe Whright.
La scena del Primo Ministro che si rivolge ai cittadini in un vagone della metropolitana è un capolavoro. Ma oggi che si può dire dei britannici? Innanzi tutto che hanno gestito in modo per lo meno ambiguo la pandemia, di cui si vedono tuttora gli effetti negativi, ed il fatto è maggiormente da ascrivere a quella specie di personaggio biondo spettinato che non vale un’unghia tagliata di Churchill. Che è successo oltremanica? Perché c’è una tal macchietta al N. 10 di Downing Street? Il famoso aplomb inglese. Ha già perso il confronto con il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che sarà in tribuna a Wembley. Questione di classe. D’altronde il fatto che Boris Johnson sia “The Prime Minister” va di pari passo con la scelleratezza di un popolo che ha votato la Brexit senza conoscerne gli effetti negativi che presto saranno un pesante macigno nella loro vita. Affari loro.
Ma veniamo alla parte sportiva. Intanto non mi piace che la finale si debba giocare a Londra con il famoso pubblico che, nel loro caso, è il dodicesimo, tredicesimo e anche quattordicesimo uomo in campo. E in questo, bisogna ammetterlo, sono unici. Loro cantavano ad una voce sola già negli anni Sessanta quando nel resto del mondo si era ancora, nel tifo, all’età della pietra. Poi bisogna rilevare ancora una volta che negli incontri decisivi spunta sempre qualche fattore, diciamo così, coadiuvante. Nell’incontro di semifinale con la Danimarca (a proposito che meraviglia il gol di Damsgaard!!) la vittoria è arrivata per un grazioso “cadeau” dell’arbitro olandese Makkelie.
Ma il ricordo per il non-gol che ha loro permesso di vincere la Coppa del Mondo (e dove se non a Londra?) va al 30 luglio 1966 quando lo scontro con i tedeschi li vide vincitori per i famoso gol fantasma di Geoff Hurst: palla sulla traversa e rimbalzo senza che andasse oltre la linea del portiere, anche se qualcuno ultimamente con un aiuto tecnologico ha cercato di dimostrare che il gol era valido. E comunque io ho sempre pensato che il segnalinee sovietico Tofik Bakhramov avesse voluto punire (e qui dico giustamente) i tedeschi per gli scempi da loro perpetrati nella Seconda Guerra Mondiale.
Comunque ora ci siamo noi a Wembley e dico che la nostra vittoria con i sudditi di Sua Maestà sarebbe una goduria che va oltre i significati meramente sportivi.
Ma forse è proprio per questo che sembra quasi impossibile superarli davanti al muro dei sessantamila. E c’è un altro fatto non da poco, una sorta di ossimoro socio-calcistico: se l’Inghilterra vincerà la finale diventerà Campione di un continente che ha rifiutato e del quale non fa più parte. Non dobbiamo permetterlo e allora ripensiamo alla gioia sfrenata di Mancini, Vialli, Lombardo, Evani dopo il rigore di Jorginho. Ci sarà il bis? E’ nelle nostre speranze e possibilità, adesso più che mai. E allora forza SampItalia!!
6 commenti
Ciao Roberto,
Di solito evito la politica (qua) perche’ qui dovremmo concentrarci ad essere tutti Sampdoriani. Ma faccio un’eccezione.
1) “hanno gestito in modo per lo meno ambiguo la pandemia,”
Morti UK: 1882 per milione di persone
Morti Italia: 2,117 per milione di persone.
Magari l’Italia l’avesse gestita in modo altrettanto ambiguo, ma no, noi avevamo Conte I e Conte II…
Quanto ai vaccini:
UNa sola dose:
UK raggiunge il 40% della popolazione a MARZO
Italia raggiunge il 40% della popolazione a GIUGNO
UE raggiunge il 40% della popolazione a GIUNGO.
Due dosi:
Dati attuali:
UK 51%
Italia 38%
UE 36%
Ripeto: MAGARI avessimo noi (ma anche una grossa fetta dell’Unione) avuto l’ambigua gestione britannica.
PS. Una volta qualcuno mi disse che in Italia girava la storia che i Paesi europei si “Ispiravano” e “ammiravano” i metodi anti covid del Conte I e Conte II. Vivendo all’estero e non avendo letto altro che critiche al Giuseppi la cosa mi fece ridere non poco.
2) “continente che ha rifiutato”
Non ha rifiutato un continente, ma di appartenere ad un’associazione a delinquere, dalla quale dovremmo disocciarsi al piu’ presto anche noi.
Per tua informazione: la superficie europea e’ molto piu’ al di fuori della UE che nell’UE (4mil vs 6 mil). Tra l’altro l’Unione (entita’ politica) non e’ l’Europa (continente) e questo errore non e’ davvero da te. Ma avresti detto lo stesso se in finale ci fosse stata la Svizzera o la Norvegia?
3) “Brexit effetti negativi”
Roberto leggo questa affermazione da prima che la Brexit avvenisse. Per adesso gli unici effetti negativi si vedono in UE. Eppure oramai ne e’ passato di tempo. Ma non lo vedi che il GDP ingelse va meglio del nostro, che possono fare investimenti e scelte strategiche senza dover chiedere il permesso agli Olandesi, che non hanno i capitali Francesi che comprano le aziende nazionali?
Sulla parte sportiva ritorni te, e dici cose estremamente corrette. Ma allora, dato che tutto sei meno che uno sciocco, ti domando: e’ mica possibile che tu ti informi presso gli spacciatori di notizie sbagliati?
Abbandona bugiardi seriali tipo Fabio Fazio e Repubblica. Leggi i numeri ufficiali ed evita gli intermediari. Poi valuta le fonti di informazioni basandoti su quello.
E vedrai un mondo nuovo.
Ciao PPC,
solo ora ho letto il tuo intervento e quindi cerco di risponderti ma rivolgendomi ad una sigla e non ad una persona con nome e cognome (come peraltro risulta per il sottoscritto) necessariamente non entrerò nel merito di attribuzioni personali pur se non ci vuole molto ad interpretarle. Comincio dalla tua esortazione finale. Alla mia età sono fiero di non aver mai avuto bisogno di pescare nelle più diverse fonti ermeneutiche varie per farmi un’idea del mondo circostante. Sì, le letture sono state importanti ma dalle lezione che ne ho avuto è uscito il fatto che al fine mi sono sempre ritenuto un libero pensatore e ciò mi ha portato a non avere tessere varie se non quella del sindacato. Nei miei vent’anni, e anche dopo, son stato, pur in buona fede, arcidogmatico, e c’è voluto del tempo perché, sempre autonomamente, comprendessi la fallacia di certe posizioni. Ricordo che nei primi anni ottanta conobbi Giorgio Gaber ed una sera prima dello spettacolo, cui ero stato da lui invitato a seguire dietro le quinte (esperienza memorabile!), andammo a cena dalle parti del Teatro Genovese e gli esposi “quelle” mie idee elefantesche per le quali lui giustamente inorridì pur non essendo certo un reazionario. Tutt’altro! Dopo qualche anno ho compreso, con l’esperienza di vita, l’infondatezza di quelle mie posizioni. E’ vero leggo Repubblica e mi piace Fabio Fazio ma né quella né il presentatore mi possono smuovere dalle idee che fanno parte del mio patrimonio culturale. Ho un sacco di volumi, nella mia libreria, di quel periodo e ogni tanto li guardo come reperti archeologici eppure non rinnego niente perché tutto era stato condotto in buona fede. Purtroppo noto invece che la maggior parte dell’umanità non è in grado di valutare con propri strumenti i fatti che si svolgono dintorno. Ad esempio in Italia il 90% del 60% dell’elettorato che ha votato NO al referendum del 2016 non sa perché l’ha fatto. Ha agito unicamente per punire l’estensore senza sapere che così facendo ha rinunciato a snellire il Paese ad esempio con l’adozione di una sola Camera e principalmente rinunciando all’eliminazione delle politiche regionali i cui esiti infausti sono sotto gli occhi di tutti. Stesso discorso per gli inglesi che a lungo ho ammirato come popolo ma ultimamente mi hanno deluso non poco intanto con comportamenti “popolari” un tempo ascrivibili ai poveri italiani e poi avendo votato “ignorantemente” per l’uscita dalla Comunità Europea i cui effetti negativi non si possono vedere a breve termine. Sei così convinto che l’Italia risolverebbe i suoi problemi fuori dall’Europa? O non piuttosto si ritroverebbe con le pezze nel sedere a mendicare investimenti da pagare con la lira??!!?? E a proposito degli inglesi nel calcio, già decenni fa erano tifosi invidiabili che cantavano ad una voce in stadi senza strutture “difensive” mentre da noi c’erano i fossati nei quali mancavano solo i coccodrilli. Ma ora che cosa sono diventati? Non sono più “speciali” ma proprio come tutti gli altri. Ma non voglio annoiarti e termino. Di una cosa sono sicuro ed è un parto della mia mente , molto semplice. Ci sono due visioni della vita politica, e non solo, che si contrappongono, una sta a sinistra e l’altra sta a destra. La prima sostiene l’eguaglianza sociale e l’egualitarismo, La seconda porta avanti principalmente i valori dell’individualismo e dell’egoismo.Si tratta solo da che parte stare. Una cosa ancora mi sovviene e cioè che la stragrande maggioranza delle più eminenti figure nell’arte, letteratura, cinema, insomma della cultura tout court di tutti i tempi stranamente stanno a…manca!
Un saluto da Roberto.
Parto anche io dal fondo.
Tu non mi annoi mai, e la tua educazione e’ tale che potrei leggere un intero volume di tuoi scritti senza problemi. Sono arciconvinto che tu abbia i tuoi strumenti culturali per interpetare il mondo. Ma ogni tanto a questi strumenti bisogna fare una revisione, e vedere se sono ancora fuoco.
Tu dici del 90% del 60% (non so odve tu abbia trovato questa percentuale, ma te la do buona), ma ci sono anche il 90% del 40% che lo ha fatto senza saperlo. L’ignoranza si suddivide in maniera sempre abbastanza uguale. Sulla BREXIT ho trovato -in generale- persone molto piu’ istruite dalla parte dei brexiters che dall’altra. I remain si basavano su un sentimento di “volemosebbeme” molto hippie e senza molte argomentazioni.
Quanto al fuori dall’EU (o anche solo dall’Euro) sono arci convinto che sarebbe un gran bene, guerra commerciale a parte (ma stare in gurppo per paura di ritorsioni eventualmente cosa e’, se non un racket?).
Con la lira abbiamo avuto il miracolo economico, da quando l’Italia e’ dentro la gabbia europea l’economia ha iniziato ad andare in malora. Persino la Svezia non ha l’Euro, ti pare che stiano male?
Dividere in “egoisti” e “alturisti”, comunque, non ti pare semplicistico? Ci sono anche quelli che credono di essere altruisti e sono egoisti, quelli che credono di far del bene e fanno del male. Se ho capito la questione artisti, mah. sono anche quasi tutti religiosi, e dunque?
Riparto dal fondo.
Da Moretti a Dino Risi e tanti altri che non posso citare non c’è apparentamento con la religione intesa come approdo di regole codificate e assunzione di dogmi. Ma mi va di citare il il più grande in assoluto, il genio per eccellenza, Charlie Chaplin che per certificare da che parte stesse basta citare il celebre discorso finale del film “Il grande dittatore” che trabocca di religiosità-laica.e di altissimo umanesimo.
E comunque non è questione di credersi in un modo essendo di un altro, è proprio una caratteristica che sta in una persona a tutto tondo. Ci si qualifica dal proprio essere nell’ambito della società e collettività.
L’ Italia senza il salvagente dell’Europa sarebbe già fallita. Al di la dei 221 miliardi della Next Generation. Saremmo dei poveri disperati, come naufraghi in attesa,in alto mare, di un improbabile aiuto. La Lira andava bene al tempo del miracolo economico quando ancora (bei tempi) non esistevano gli effetti nefasti della globalizzazione e le multinazionali non offendevano, senza il minimo sentimento, centinaia di lavoratori come il caso recente della Gkn. Quando sento la frase solita del “dobbiamo rendere conto ai nostri azionisti” mi va il sangue al cervello. Non nego con questo che non si debbano cambiare certe regole in seno all’Europa, fermo restando il fatto che da quando è stata realizzata con il nostro decisivo contributo (Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi) non possiamo fare a meno della sua presenza in noi e noi in lei.
Riguardo ai Referendum l’evidenza è quella che spesso (specie se ci sono trappole nell’esposizione del testo, parlo dell’Italia, e non sono aut aut come quello ad esempio sul divorzio) buona parte del popolo, che in questo caso si palesa come “bue” vota con precisi obiettivi che non sono quelli contenuti nella proposta referendaria. E lo dice uno che per qualche tempo ha benedetto la presenza del “mandante” salvo poi abbandonarlo definitivamente per aver compreso, autonomamente, senza che mi ispirassero Repubblica o Fabio Fazio (non voglio essere polemico ma quando ce vo ce vo) quanto fosse un personaggio ambiguo.
E termino con gli inglesi che son stati attaccati dalla stampa di tutto il mondo a cominciare dagli scozzesi ben felici del successo italiano loro che dei “cugini” da tempo ne hanno le scatole piene. In questi ultimi anni mi hanno deluso non poco. Li ho sempre ammirati per i loro fair play, per quelle differenze che ne facevano un popolo dall’ aura aristocratica. Mi viene in mente il film “Fumo di Londra” (1966) di e con Alberto Sordi, l’antiquario di Perugia Dante Fontana che decide giocoforza di fare il tanto atteso, da anni, viaggio in Inghilterra in certo qual modo sua patria culturalmente adottiva. Celebre la scena in cui, vestito da autentico gentleman con bombetta e garofano all’occhiello, apostrofa un gruppo di rozzi italiani con la classica “E non vi fate conoscere da tutti per quello che siamo!” Ecco io ho amato quell’Inghilterra e specificatamente quella città della Swinging London, i Beatles, Mary Quant, gli spettacoli del West End, un “clima” unico e impossibile da ripetere, veramente un mondo a parte. Che resta oggi di quella magia? Quasi niente ma soprattutto un popolo che si è smarrito peggiorando notevolmente nel comportamento gettando alle ortiche quel classico aplomb che lo ha sempre caratterizzato. Non lo dico solo io, mi pare, ma è opinione comune ed è su tutti i giornali non solo Repubblica.
Ora ti saluto e vorrei chiudere qui questo breve carteggio che però è stato molto interessante ed istruttivo (e per questo ti ringrazio) e che mi fa dire che bisogna accettare i diversi punti di vista un pò come diceva la grande guida dell’Illuminismo, Voltaire che, appunto, essendo illuminato non poteva essere…..
Ciao Roberto,
Ti daro’ una risposta breve, non perche’ non interessante ma perche’ non voglio ammorbare il blog.
“L’ Italia senza il salvagente dell’Europa sarebbe già fallita”
Questa e’ economicamente sbagliato. Per capirci, e’ come se tu avessi detto che il Covid non esiste. Il denaro non e’ una merce scarsa.
Pensaci: quale paese *privo di vincolo monetario* e’ mai fallito?
“Al di la dei 221 miliardi”
Domanda: quanti di questi sono arrivati ad oggi? Risposta ZERO.
Quanti di questi sono un prestito a tasso PIU ALTO del mercato? 122.5
Quanti messi con scostamento di bilancio? 30
Quanti “a fondo perduto”? 69.
E come li si prende? con il il bilancio europe del quale noi siamo contribuenti netti.
Dai su. L’Unione restituisce una piccola parte di quel che ha preso e pretende pure di decidere come dobbiamo spenderli. E magari i Paesi Bassi attivano il freno a mano e non vediamo neppure il fondo perduto (dopo aver pagato).
Roberto, la Lira andrebbe benissimo anche oggi. Le mulitnazionali possono fare quel che vogliono PERCHE’ siamo in EU e PERCHE’ abbiamo l’Euro. Vedi quel che dicevo come chiosa? Ti presentano l’Euro come una cosa tanto bella per i lavoratori, ma e’ una grossa fregatura. Puoi guardare i grafici del GDP, dell’ UR in relazione alle date di avvicinamento all’Euro (a partire dall’EMS e EMS credibile).
E siccome penso che tu sia persona di sinistra, ti direi di lanciare un occhio anche al Gini index dei periodi indicati.
Non so quale sia la tua preparazione in materia, ma ti assicuro che la “narrazione” ufficiale viene demolita dai dati.
In quanto ai tifosi inglesi, mi trovi completamente d’accordo. Sono stati orrendi, ma come dicevo, su questo ti trovo estremamente lucido.
Alla prossima (sentiti libero di rispondere, leggero’ senza replicare)
Caro PPC, non dovrei rispondere perché poi non si finirebbe più di reciproci scambi. Purtroppo siamo su posizioni
assai diverse. Premetto che mi è sempre andata di traverso l’Economia, che, come immagino, da te parre sia più apprezzata. Per farla corta ti allego un articolo del Sole 24 ore , giornale che non può essere tacciato di sinistrosità.
Un caro saluto da Roberto
13 febbraio 2019
L’Italia fuori dall’euro: catastrofe o via di salvezza? Forse nessuna delle due, anche se i contraccolpi finirebbero per scavalcare i (pochi) vantaggi di uno strappo dall’integrazione monetaria. Tortuga, un think tank di studenti nato alla Bocconi nel 2015, ha provato ad analizzare le conseguenze di una «Italexit», un’uscita della Penisola dalla moneta unica. L’indagine, intitolata «Scenari di un’Italia senza Euro: Il post-Italexit», sarà presentata oggi nell’ateneo di via Sarfatti.
Il presupposto di partenza è di valutare gli scenari di medio-lungo termine per l’economia italiana in casa di un divorzio «hard», senza compr0messi, come quello che si annuncia per il Regno Unito nel caso di un mancato via libera del Parlamento britannico entro il 29 marzo 2019. L’impatto è stato studiato in base a cinque fattori citati (o meno) nella polemica politica: bilancia commerciale, occupazione, conti pubblici, disuguaglianze, welfare. Ecco i risultati.
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Bilancia commerciale, rischio flop per la “svalutazione competitiva”
Il primo terreno di analisi per l’indagine di Tortuga sono gli effetti sulla bilancia commerciale. La tesi sposata dagli avversari dell’euro è che il ritorno alla lira stimolerebbe le esportazioni grazie alla cosiddetta «svalutazione competitiva»: la diminuizione arbitraria del valore di una moneta nazionale renderebbe, a un tempo, più convenienti i nostri prodotti (perché costerebbero di meno grazie a una moneta debole) e meno convenienti quelli stranieri (perché costerebbero di più, per l’effetto opposto). Un toccasana per la bilancia commerciale, in teoria, favorita da un aumento della domanda di nostri beni e un calo parallelo delle importazioni. In “teoria” perché l’equazione non è così ovvia.
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Come ha già scritto il Sole 24 Ore , la svalutazione competitiva può funzionare bene in un’economia antecedente alla globalizzazione e incentrata sulla vendita dei soli beni finiti. Meno nello scenario di un’economia globalizzata e dominata dal modello della Global Value Chains: i processi di produzione di beni intermedi, dislocati in vari paesi a seconda del grado di convenienza di una certa sede (si pensi al basso costo del lavoro asiatico o alle agevolazioni fiscali nell’Est europa). La svalutazione della nuova lira avrebbe così l’effetto di aumentare la domanda di beni finiti, ma al costo sia di mantenere immobili le esportazioni di beni intermedi sia, e soprattutto, di fare schizzare all’insù i costi delle importazioni di prodotti che servono per la realizzazione degli stessi beni finali del Made In Italy. In aggiunta, si legge nel report, è difficile che una rottura dall’euro consenta di mantenere le stesse condizioni di mercato ora vigenti. La nostra economia dovrebbe misurarsi probabilmente con ritorsioni dai paesi partner, a partire da dazi capaci di colpire le merci esportate e vanificare gli effetti benefici di una svalutazione.
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UNO SPREAD PERICOLOSO
Il differenziale fra i tassi di disoccupazione rispetto alla Germania, dati agosto 2018 (Fonte: Ameco)
UNO SPREAD PERICOLOSO
Il report offre l’esempio di alcune svalutazioni già effettuate in passato, dalla Svezia all’Australia, rilevando che «la maggior parte degli episodi è contraddistinta da diminuzioni molto lievi o, addirittura, aumenti del tasso di disoccupazione». Perché? Da un lato è vero che un aumento della domanda farebbe bene all’occupazione, oltre a stimolare la crescita di settori più innovativi. Dall’altro, si spiega nel report, l’aumento delle esportazioni nette potrebbe innescare un aumento generalizzato dei prezzi, vanificando così i vantaggi competitivi di un segno più nell’export. Senza contare l’incognita di una crisi bancaria e valutaria legata all’uscita dalla moneta unica: un calo del Pil si tradurebbe necessariamente nel calo dei livelli di occupazione.
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Quando si arriva ai conti pubblici, l’indagine paragona la rottura con l’euro a un «salto nel buio» per le casse dello Stato. L’uscita dalla moneta unica, agganciata a una svalutazione della nuova Lira, sfavorirebbe i creditori, destinati a riottenere il denaro prestato con un conio di minor valore. Tradotto: i detentori di titoli di Stato ne uscirebbero penalizzati e i mercati finanziari potrebbero guardare con più sospetto all’acquisto di Btp, facendo aumentare i tassi di interesse richiesti a copertura del maggior rischio. Non solo.
Da un lato la svalutazione si accompagna, storicamente, a un aumento dei prezzi. Il tasso di inflazione che si genererebbe, stimato nel report di Tortuga al +7,5%, colpirebbe i risparmi come una sorta di «tassa silenziosa» sugli italiani. Dall’altro lo Stato italiano si troverebbe costretto ad acquistare euro per ripagare i titoli in scadenza ai creditori, con ogni probabilità sfavorevoli a vedersi ripagare con una moneta svalutata. L’investimento potrebbe far schizzare il debito nominale pubblico intorno al 144%, aumentando ancora di più lo scetticismo sui prestiti al nostro paese. Un atteggiamento che rischia di sfociare in «una restrizione del credito con conseguente riduzione degli investimenti e contrazione della crescita economica».
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Tutte le conseguenze descritte dall’indagine si ripercuotono, necessariamente, sui cittadini. Da qui gli autori ipotizzano che l’uscita dell’euro rischi di aumentare, anziché contenere, le disuguaglianze sociali che si sono divaricate negli anni della crisi. In primo luogo, la spirale inflazionistica generata dalla svalutazione andrrebbe a erodere alcune tipologie di reddito: «Nell’ordine – si legge nel report – redditi da lavoro dipendente, pensioni, redditi da lavoro autonomo, redditi da capitale». A farne le spese sarebbero le fasce meno abbienti della popolazione, inclini al ricorso a «forme di ricchezza» (come i contanti o i conti deposito), privi di meccanismi di difesa dall’inflazione.
Quanto agli effetti della svalutazione competitiva, i suoi – pochi – benefici si concentrerebbero su una filiera già florida: le imprese del Nord Italia. Quando si guarda ai volumi delle esportazioni, infatti, il confronto geografico è a dir poco impietoso: quasi il 90% delle esportazioni arriva dal settentrione, creando l’ennesimo divario fra le «due Italie» che dovrebbe essere ricomposto dal ritorno alla Lira. «La provenienza territoriale delle vendite sui mercati esteri è fortemente concentrata nelle regioni del Centro-Nord, da cui proviene l’88,1% delle esportazioni nazionali – si legge nell’indagine – mentre il Mezzogiorno attiva soltanto il 10,5% delle vendite sui mercati internazionali».
Il welfare e il boomerang dell’austerity
Senza l’euro, si dice, l’Italia potrebbe sottrarsi ai «vincoli di Bruxelles» e incrementare la sua spesa sociale. Ma è tutto così semplice? Non proprio. Il report evidenzia un cortocircuito implicito al divorzio dalla moneta unica. È vero che l’addio all’euro allenterebbe i vincoli di bilancio con la Ue, accusati di frenare il potenziale di investimento del paese. Ma il paese dovrebbe comunque attingere a capitali in arrivo dai mercati finanziari, con esiti paradossali: per accontentare i requisiti chiesti dagli investitori internazionali, il governo potrebbe trovarsi costretto a implementare le stesse misure di austerity contestate all’establishment europeo. In caso contrario, lo scetticismo dei mercati provocherebbe difficoltà nel rifinanziamento del debito, aumentando i tassi di interesse ed erodendo il valore delle obbligazioni. «L’aumento dei tassi di interesse – si legge nel report – causerebbe un ulteriore aumento della spesa per il servizio del debito, mentre la perdita di valore dei bond provocherebbe una sofferenza importante per le banche, che hanno grandi numeri di Btp tra i loro asset».
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