Bellissima intervista realizzata da Roberto C, autore delle Memorie Blucerchiate. Un monumento alla Sampdorianità come Domenico Arnuzzo parla di presente, passato e futuro blucerchiato, dispensando numerose perle.
Non resta che dare la parola al grande tifoso Roberto.
PROLOGO
Nel film “C’è posta per te” di Nora Ephron (1998) Kathleen Kelly e Joe Fox, pur ancora non conoscendosi, comunicano per e-mail. Quando Joe e il padre Nelson vengono a sapere che il nonno John un tempo scriveva lettere a Cecilia Kelly, la madre di Kahleen, si stupiscono di quel mezzo per comunicare nel frattempo diventato obsoleto. Che c’entra tutto questo? Già, è proprio con questo vecchio sistema che sono venuto in contatto con Domenico Arnuzzo. In effetti lo vedevo spesso, nelle mie passeggiate domenicali con mia moglie, nella zona di Carignano, ma era sempre con gli amici e mi dispiaceva doverlo importunare per chiedergli se potevo fargli un’intervista per il Blog Sampgeneration. E allora sono ricorso alla carta…Se pur dopo 10 giorni la lettera è giunta a destinazione ma con il timbro postale di…Torino! Bisognerebbe informare il Ministro delle Poste. E’ stato un piacere ricevere la sua telefonata dalla quale ho compreso subito la sua grande disponibilità. Ed eccoci qui.
INCONTRO
Giovedì mattina 10 marzo, dopo aver parcheggiato davanti alla Basilica di Carignano, mi sono recato all’appuntamento con Domenico Arnuzzo in un bar di via Bixio. Stavo pensando che, essendomi ricordato di una lunghissima intervista a lui fatta da parte di Roberto Bordi, ed apparsa sul nostro Blog nel 2016, ed essendo questa del tutto esaustiva sulla sua vita calcistica e da dirigente in seno alla Sampdoria, praticamente la mia conversazione sarebbe stata del tutto inutile e di conseguenza avrei dovuto presentarmi dicendo che ormai su di lui non c’era più niente da scoprire e congedarmi con il classico “piacere di averti conosciuto”. E tornarmene a casa. Ma avevo previsto anche questo fatto ricordandomi che negli anni “ottanta” del secolo scorso avevo una rubrica sul quotidiano “Il Lavoro” edizione del Lunedì con a disposizione un’intera pagina nella quale riferivo delle mie visite, unitamente al fotografo, nelle case dei giocatori rossoblucerchiati che ritrovavo in seno alle loro famiglie ed ai quali rivolgevo domande, per lo più, al di fuori del campo calcistico, anche perché, come ho riferito anche oggi a Domenico, il mio forte non è mai stato l’aspetto tecnico. Ma qui ho avuto una bella sorpresa. Infatti mi ha detto: “non preoccuparti di non essere bravo nei giudizi tecnici” come dire che nel mondo dei commentatori c’è molta “fuffa” ed interpretazioni sopra le righe spesso prive di senso logico. “Hai mai giocato al calcio? Ecco in quello che hai compreso allora c’è tutta la conoscenza!”. Un bel viatico per me che comunque continuo a tenermi alla lontana da schemi e tattiche varie.
Ad ogni modo, entrando nel merito della discussione, ho tenuto molto a dirgli di una mia idea creatrice di qualche tempo fa e cioè l’espressione “Essere Sampdoria” che racchiude in toto una figura che al solo vederla si pensa all’essenza di blucerchiato. “E tu, a mio parere, attualmente sei l’unica rimasta, in considerazione appunto della tua vita che si è dipanata dall’essere prima giocatore, dirigente ed ora commentatore. Per il passato mi vengono in mente Mantovani e Boskov”.
Ed a ben pensarci non vedo nemmeno Vialli e Mancini, presi singolarmente, avendo vissute glorie successive in altri club, ma unicamente nella versione di coppia, cioè i “gemelli del gol”. Poi gli ho detto che non facevo interviste da 37 anni e l’ultima era stata quella a Paolo Rossi.
Ma andiamo a cominciare tra caffè e focaccia.
R – Quale è stato il primissimo impatto con il mondo sampdoriano?
D – “Come sai sono nato a Sampierdarena e lì si è sempre respirato aria blucerchiata, ma uscendo dalle mie zone purtroppo la realtà fra genoani e sampdoriani era di 30 a 3 e allora, come sempre accade in questi casi, mi sono portato sulla sponda che mi sembrava più debole. Anche i rapporti tra tifosi erano diversi rispetto ad oggi. Ad esempio mentre la gradinata Nord apparteneva per intero ai genoani, la Sud non era così compatta e anche i rossoblù la frequentavano misti ai doriani.”
R – Questo fatto lo ricordo benissimo. Ogni tanto scoppiava qualche lite ma niente di più.
D – “Inoltre nella mia famiglia capitava che zii genoani si unissero a noi per andare insieme alla partita”
R – Hai qualche ricordo particolare dei tempi in cui giocavi?
D – “Uno riguarda mio papà che mi ha sempre seguito con grande affetto dandomi consigli e spronandomi i primi tempi quando, ad esempio, dopo un mese tra i giovani della Samp, volevo abbandonare e tornare alla squadra dei miei amici di origine. Ma lui mi esortò a provare ancora e fu quella, a pensarci bene, la chiave per l’inizio della mia carriera. Ricordo che nelle partite a Marassi lui stava in quello spicchio che univa i distinti alla gradinata Sud ed ogni volta che entravo in campo si alzava e mi salutava. A pensarci mi commuovo ancora.”
Per i più giovani bisogna ricordare che nel vecchio catino di Marassi l’uscita dagli spogliatoi stava appunto in quell’angolo.
R – Altri ricordi?
D – “Sempre in quelle occasioni mia moglie stava in tribuna con mio figlio Luca che già a tre anni sventolava sempre la bandiera blucerchiata. Ma una domenica che fui ferito alla gamba dai tacchetti di un avversario ci fu fuoriuscita di sangue e quella vista lo colpì talmente tanto che da allora non venne più allo stadio. E anche adesso ne sta lontano”
R – Qual è la sensazione che si vive giocando nella squadra di cui si è tifosi?
D – “Ci tieni in particolar modo perché ti senti più responsabile per la doppia appartenenza. Nel bene e nel male. “
R – Quali sono le sensazioni che provi oggi, prima, durante e dopo la partita? Specie se è una sconfitta.
D – “Devo dirti che col tempo mi sono raffreddato e quindi sono più tranquillo. Prima soffrivo di più”
Questo è un insegnamento per me. Da tenere presente per il futuro.
Ora una serie di domande telegrafiche.
R – La più grande nazionale di tutti i tempi?
D -“Brasile 1958”
R – Il più grande calciatore di sempre?
D – “Pelè”
Io qui dissento perché credo sia Di Stefano. E sono confortato dal fatto che la pensasse così Gioanbrerafucarlo (Gianni Brera) il padre del giornalismo sportivo.
R – Il più grande calciatore con cui hai giocato in squadra?
D – “Luis Suarez, senza dubbio. Un autentico asso e maestro”
R -_E il più grande affrontato?
D – “Sono due: Rivera e Mazzola”
R – Il migliore allenatore che hai avuto?
D – “Eugenio Bersellini”
R – E il più bravo che ha allenato la Samp?
D – “Eriksson, che era molto tecnico a differenza di Boskov la cui caratteristica migliore era quella di essere un grande motivatore. Vujadin a volte era così agitato in panchina che non si accorgeva di aver fatto già il cambio e bisognava dirglielo ‘Mister non si può giocare in dodici!’ Anche Fuffo Bernardini, come Boskov, aveva limiti come allenatore.
R – Entrando nel merito dei grandi valori di chi ha militato nella Sampdoria penso che ci sia una prima posizione riguardo la qualità assoluta ed un’altra per una serie di fattori legati insieme che mi fanno giudicare Gullit il più bravo e Flachi nella sua totalità dell’essere come chi emerge dalla valutazione multidisciplinare, ad esempio come succede per i decatleti. Ha voluto sempre la Samp anche quando aveva un piede e mezzo in Serie C.
D – “Per me il più grande è stato Vialli. A Flachi voglio bene ma non lo vedo in questa classifica di valori assoluti. E poi ha sbagliato come uomo. Gullit invece era sì bravo ma discutibile come persona. Come qualità gli preferisco Cerezo.”
R – Un tifoso, in genere, e con molto masochismo, ricorda maggiormente il Male anziché il Bene. Forse perché il primo è un fatto ormai insanabile. Come ha detto Daniele Garozzo, fiorettista d’oro alle Olimpiadi di Rio 2016 ‘ Le sconfitte ti seguono, si rifanno vive di notte, mentre il successo è un cerino che brucia in un attimo’. E quindi a cosa ti fanno pensare questi termini: Barcellona, Arsenal e Werder Brema?
D – “Tre sconfitte pesantissime, ma soprattutto quella di Wembley, per la quale però è comunque importante esserci stati ed orgogliosi di questa finale.”
Questa l’ha sottolineata un amico di Domenico che ad un certo punto si è seduto accanto a noi. Ed ha pure aggiunto che al Camp Nou, nella teca del Barcellona, la prima Coppa dei Campioni vinta dai ‘blaugrana’ rechi in calce, in piccolo, il nome Sampdoria. Per il sottoscritto è una magra consolazione specie per una partita che poteva cambiare completamente l’immagine della Samp nel mondo internazionale del calcio. Che aveva sì vinto la Coppa delle Coppe ma vuoi mettere con il massimo raggiungibile? Questa per me è una ferita che ancora sanguina e lo farà per sempre.
R – Penso che Vialli sia stato all’apice della Samp nel bene ma, perdonami, anche nel male. Alludo ai tanti successi che ha firmato ma soprattutto alla più bella espressione da ‘essere Sampdoria’ che sia mai stata detta, e cioè il famoso ‘ho firmato per noi” (Torino 1988 – Coppa Italia). Al tempo stesso ci stanno gli episodi di Londra in cui ha fallito due palle gol clamorose. La prima soprattutto. Io ogni anno, per la finale di Champions, la riguardo sempre con sommo autolesionismo.
E tant’è torno sempre lì!
D – “Non la penso così, al di là della mia grande stima per Luca. Forse è una mia impressione, considerando che ho visto tutto dalla panchina, ma mi sembra che la palla abbia preso una zolla di terreno che ne abbia deviato la direzione.”
Beh, non è da tutti i giorni parlare con uno che era in panchina a Wembley!
R – Dove eri il 7 giugno 1964?
Espressione di sorpresa.
D – “Era una domenica?”
R – Sì, quella dello spareggio a Milano con il Modena.
D – “Sicuramente giocavo una partita nei ragazzi della Samp agli ordini del leggendario Cherubino Comini”
R – Tu sei stato in organico nella Reggiana nel campionato di serie B 1968/69. Te lo chiedo perché ho un ricordo particolare dello stadio Mirabello per una delle prime trasferte della mia vita, il 25 settembre 1966. Finì 1 – 1 con reti di Fogar e del nostro Giancarlo Salvi. E comunque non hai mai giocato.
D – “In effetti avevo un contratto particolare. In quel tempo prestavo il servizio militare a Bologna ed ero stato aggregato, per gli allenamenti, alla squadra granata, ma l’allenatore Giorgi in realtà non mi ha mai visto. Tra l’altro ogni fine settimana tornavo a Genova”.
R – Mi racconti un aneddoto dell’epoca favolosa di Paolo Mantovani quando eri responsabile del settore giovanile?
D – Mi piace ricordare le partite a cirulla che mi vedevano in coppia con Marcello Lippi contro il Presidente e il Dottor Segre. Ci giocavamo una cifra simbolica, mille lire. Una volta con una banconota vinta ho fatto un quadretto che ogni tanto sventolavo sotto gli occhi di Mantovani. Si rideva molto. E’ stato per me un amico.
R – Bernardis e Trentalange. Cosa ti suggeriscono questi due nomi?
D – “Due grossi errori arbitrali. Ma non penso fossero in malafede. Allora gli arbitri avevano un rapporto di sudditanza con le grandi e certamente fare un torto ad Agnelli poteva avere gravi conseguenze per la loro carriera. Ti faccio un esempio particolare. C’era una sfida a Marassi con il Milan e l’arbitro, come sempre prima della partita, veniva negli spogliatoi. Da noi, dopo aver fatto l’appello, disse che dovevamo rispettare le regole e comunque solo il capitano gli poteva rivolgere la parola. Da loro non fece nemmeno l’elenco dei giocatori e si limitò ad un saluto. Così andavano le cose tra grandi e piccole.”
R Ora vorrei fare una netta virata per entrare possibilmente nell’altro ‘Arnuzzo’. Come passi le tue giornate ed in particolare come hai vissuto il periodo del lockdown?
D – “Non ne ho sentito molto il peso. Ho continuato la mia vita di sempre e qualche passeggiatina nei dintorni me la sono sempre fatta. Comunque è stato più facile da viverlo come pensionati. In effetti penso molto al disagio che ne hanno patito i giovani”
R – Per me e mia moglie è stato, ed è tuttora, un periodo assai pesante perché ci ha impedito di praticare tutte le molte attività che da sempre fanno parte integrante della nostra vita. E che per noi ne sono il sale.
E qui devo dire che mi ha spiazzato con un’affermazione giustissima della quale ne farò sicuramente tesoro.
D – “La nostra generazione è stata molto fortunata. Noi cosiddetti baby boomers non abbiamo conosciuto la tragedia della guerra usufruendo di tutto ciò che il progresso ci ha portato e questo è un fatto assai importante. Non ci è mai mancato niente, siamo vissuti negli agi, specie considerando quello che avevano patito i nostri genitori”
Apprezzo molto queste sue parole che devono essere sempre tenute in considerazione specie in momenti bui come questi. E’ vero, in fondo non è giusto lamentarsi.
R – Hai qualche hobby particolare?
D – “Mi piace molto la Settimana enigmistica. E’ molto coinvolgente”
R – Ti appassioni per altri sport?
D – “Ne seguo molti ma senza particolari entusiasmi”
R – Woody Allen nel film da lui diretto ‘Manhattan’(1979) alla fine, disteso sul divano, elenca le sue dieci cose per le quali vale la pena di vivere
Quali sono le tue? Non necessariamente devono essere dieci.
D – “Sicuramente mia moglie e mio figlio. E poi l’amicizia. E riuscire a vivere la giornata come desideri”
Bella questa. Come direbbe Albert Einstein: “Se vuoi vivere una vita felice, legala ad un obiettivo”
R – C’è una parola di tre lettere dalla quale non si può prescindere sia essendo atei, credenti o agnostici: Dio. Come ti confronti con essa?
D – “Ho un buon rapporto col Creatore nel senso che ho un legame diretto senza intermediari. Mi capita di rivolgermi a lui, magari in momenti di necessità. Per il resto non vado a messa. Diciamo che ho una relazione privata con Dio”
R – In “Harry ti presento Sally” di Rob Reiner (1989) durante il viaggio in auto tra Chicago e New York, Harry dice a Sally che pensa sempre alla morte e quando arriverà il momento lui sarà preparato. Tu ci pensi?
D – “Non ho paura. In questo senso sono sereno. Non so, come per tutti, cosa capiterà dopo. Piuttosto ho più apprensione che succeda qualcosa a mio figlio e mia moglie. Questo è il timore più grande. Per il resto spero che ci possa essere anche un’altra vita.”
R – Dopo questo excursus, diciamo così, interiore, e per giungere alla conclusione dell’intervista, torniamo a parlare della Samp. Come vedi il suo futuro?
D – “E’ la domanda più difficile. Più leggo e più mi si forma in testa molta confusione. Soprattutto riguardo tutti i risvolti legali legati alla vicenda societaria. Sono un po’ fatalista. Ma può succedere, e lo auspico, che alla fine tutto vada nel verso giusto. Sarebbe bello, per tutti.”
E’ quasi mezzogiorno ed è giunto il momento dei saluti. La mia conclusione, al di là dei contenuti di questa conversazione, è che Domenico Arnuzzo, oltre ad essere sempre una grande bandiera blucerchiata, sia veramente una bella persona e non perché, nonostante le mie insistenze, abbia voluto pagare le consumazioni… Nella sua semplicità, così priva di protagonismo, sta tutta la sua grandezza. Mi viene in mente, a proposito, una frase del filosofo danese Soren Kierkegaard “La grandezza non consiste nell’essere questo o quello, ma nell’essere se stesso, e questo ciascuno lo può se lo vuole.”
Nel mondo della fantasia mi unirei idealmente a suo padre, la domenica a Marassi, per salutarlo con la mano all’uscita degli spogliatoi.
7 commenti
Innanzitutto bravo Roberto belle le tue domande le risposte appartengono a Domenico Arnuzzo un modesto terzino ma con tanto senso di appartenenza avere la sampdorianita’ nell’anima vale già di per sé un voto altissimo detto questo siamo alle solite e qui esce sempre il tifoso sampdoriano soft accidenti non esiste la sudditanza psicologica in quanto è un modo perverso nel non accettare la malafede umana dove lo scontrarmi con i poteri forti inficia la mia carriera arbitrale quindi più passano gli anni maggiormente mi rendo conto che con un’ambiente dove si tende a giustificare sempre tutto non si otterranno grandi risultati anche se a capo avessimo una cordata composta da arabi. Ovviamente ognuno ha la propria visione delle cose.
….e nel frattempo il signor Vialli si è esposto per l’acquisto con i suoi soci del Chelsea,evidentemente in Inghilterra hanno una forma mentale più diretta più trasparente della nostra, almeno io la interpreto in questo modo.
Gran bella intervista mi associo ai complimenti di Luigi,
bravo Roberto!
Sarò sincero,
l’Arnuzzo opinionista mi piace poco o nulla
molto spesso sono in disaccordo con le sue considerazioni che trovo quasi sempre banali e scontate,
ma l’Arnuzzo uomo deve invece essere proprio una splendida persona,
se non erro è anche molto impegnato anche nel sociale,
e questo lo rende degno della massima stima e considerazione
a prescindere dal fatto che sia una nostra bandiera…
P.S: ho letto anch’io la notizia di Vialli,
forse cala davvero il sipario sul nostro sogno anzi,
sul sogno di molti sostenitori doriani,
visto che qualcuno lo considerò un semplice specchietto per le allodole
per noi poveri ignoranti di economia e di finanza…
Ciao Cabezon concordo con la tua analisi in quanto abbiamo espresso la stessa opinione per quanto riguarda l’Arnuzzo uomo ho avuto modo circa vent’anni fa di scambiare due chiacchiere con lui e in effetti è una bella persona te lo confermo un’uomo semplice che ha vissuto un calcio nostrano lontano parente di quello attuale.
Mi aggiungo ai complimenti che mi hanno preceduto, l’intervista nel suo modo di essere riportata è immersiva per chi legge. Intervistatore ed intervistato ne sono stati entrambi protagonisti. Metti mai che, pur senza nominarlo (e anzi, anche per questo!) oltre che di caffè e brioche abbiamo percepito un po’ di sapore dello “Stile Samp”.
Bella la conclusione, e… appunto: abbiamo l’intervista ad Arnuzzo, ora qualcuno intervisti Roberto C..
Bellissimo articolo per una superlativa intervista
e bellissimi i vostri interventi sul blog.
Grazie.
Quoto in pieno…roba d’altri tempi… c’è né bisogno.