Il mitico Nicolini intervistato in esclusiva dalla nostra redazione.
Lo sguardo di Enrico Nicolini è truce come ai vecchi tempi, quando mordeva le caviglie avversarie. Ma il suo viso accigliato, solcato da rughe scavate da una vita da mediano passata a lottare come un leone in mezzo a nugoli di avversari, si stempera in un sorriso sincero quando tiri fuori la parola magica: tatuaggio. Il tatuaggio che il mitico Bosotin si è appena fatto disegnare sull’avambraccio.
«Un gesto che ho apprezzato tantissimo. Ora vi racconto com’è andata. La settimana scorsa Bosotin mi telefona e mi spiega di volersi tatuare la mia faccia. Prendo le sue parole come una presa in giro, riattacco e non ci penso più. Ma quando il venerdì un nostro amico in comune mi chiama per darmi appuntamento la mattina dopo dal tatuatore di via Casaregis, ho cominciato a crederci veramente. Sabato mi presento di buon’ora in negozio e chi mi trovo davanti? Ovviamente Bosotin sdraiato in sala operatoria! Dopo una mezz’oretta me ne sono dovuto andare per via di un impegno, quindi non ho visto finire il lavoro. Ma mi hanno fatto vedere la foto: il tatuatore ha creato un piccolo capolavoro che il Boso si porterà per sempre sull’avambraccio. E io nel cuore».
Bosotin si è tatuato la sua effige dopo il gran rifiuto al Genoa della scorsa settimana…
«Vorrei precisare una cosa: non ho mai detto di no al Genoa. Ci tengo a sottolineare di non avere mai avuto rapporti diretti con esponenti della società rossoblù. Ho messo le mani avanti con Mandorlini spiegandogli che non avrei mai accettato di fargli da secondo al Genoa: sia per non tradire i tifosi della Sampdoria, sia per non mancare di rispetto ai genoani. Ecco la verità».
Tutte le principali testate nazionali hanno dato ampio risalto alle sue parole. Si aspettava un’ondata di popolarità di queste proporzioni?
«Sinceramente no. Mi aspettavo che potessero avere una cassa di risonanza a livello locale, ma non che diventassero di dominio pubblico e ne parlassero Corriere della Sera, Repubblica, Rai, Sky e tutti i social. Domenica sono stato ospite di “Quelli che il calcio” dove mi è stato dedicato un bel servizio. Ma non mi sembra di aver fatto qualcosa di speciale: sono solo stato coerente e basta».
Anche la Sampdoria è rimasta impressionata dalla sua scelta. Il ds Osti ha caldeggiato l’ipotesi di farla entrare l’anno prossimo in società. Le piacerebbe? Se sì con quale ruolo?
«Non ho mai nascosto il desiderio di tornare a casa mia. Per quanto riguarda il mio ruolo, lo decideremo insieme alla società. Con Osti ho avuto un pour parler. Ci incontreremo in futuro per concordare tempi e modi del rapporto professionale che mi auguro verrà instaurato. Personalmente mi piacerebbe entrare nello staff del tecnico, sempre che ci sia un posto per me. Non voglio avere chissà quali ruoli di prestigio. Vorrei continuare a fare ciò che facevo già col mio amico Mandorlini e prima ancora con Mazzone. Tra un po’ di tempo ci vedremo e ne parleremo».
Chiudiamo il capitolo su di lei e apriamone un altro sulla Sampdoria di Giampaolo.
«È un momento molto positivo per gioco e risultati. Il mister è stato bravo a mantenere la stessa identità di gioco con i suoi ragazzi anche quando le cose andavano meno bene. Le insidie legate alla partita con il Pescara? Le stesso che la Samp ha incontrato a Palermo. Sabato la squadra di Zeman si gioca una bella fetta di salvezza, verrà a Marassi per dare tutto. Ferrero ha fatto bene ad andare a Bogliasco per tenere tutti sul pezzo: a Palermo ho visto la Samp un po’ deconcentrata».
Un segnale preoccupante in vista del derby della prossima settimana?
«Lo escludo. La Samp sta facendo bene. In squadra ci sono tanti giovani da valorizzare. La classifica è bella ma può diventarla ancora di più. Ecco perché non bisogna parlare di obiettivi di lungo periodo. L’obiettivo immediato è di superare la squadra che ti precede in classifica. Tornando al pareggio di Palermo, può succedere di non riuscire a giocare al massimo».
Una delle poche grane di Giampaolo e di riflesso della Sampdoria è legata al trequartista. Il mister non sembra avere le idee chiare sul giocatore a cui affidare il gioco tra le linee…
«Io invece credo che Giampaolo abbia le idee molto chiare. Cambiare alcune scelte di formazione non è un sintomo di debolezza, ma l’indice della capacità dell’allenatore di fare le scelte tecniche migliori in base alle caratteristiche dell’avversario. Condivido l’idea di ricorrere al turnover. Gli unici titolari fissi tra centrocampo e trequarti sono Barreto e Torreira, per gli altri ruoli non ci sono gerarchie predeterminate e ricorrere a qualche avvicendamento mi sembra la cosa migliore».
Qual è il ricordo più bello che si porta dentro della sua esperienza in blucerchiato?
«La mia carriera a livello di prima squadra è stata modesta. Fortuna che ho fatto abbastanza bene altrove! Ma una chicca da raccontare ce l’ho. Come qualcuno saprà, sono stato l’unico genovese – e sampdoriano – a esordire in serie A in un derby. Ricordo ancora giorno e risultato: 17 marzo 1974, 1-1 in rimonta con gol all’ultimo minuto di Maraschi con una rovesciata incredibile».
A proposito di quella partita, sta circolando una foto dove la si vede raccogliere il pallone in fondo al sacco, subito dopo la rete di Maraschi. A distanza di tanti anni, ci racconta cosa voleva fare con quel pallone? Chiunque sarebbe andato a esultare sotto la gradinata sud…
«Altra chicca – ride – da tramandare ai posteri! A quei tempi non era come oggi: il quarto uomo non esisteva e non c’era il tabellone elettronico a indicare i minuti di recupero. Era l’arbitro ad assegnarli, ma raramente si andava oltre il 90′. È successo questo. Subito dopo la rovesciata di Maraschi ho pensato: “E se l’arbitro facesse continuare a giocare e prendessimo il gol del 2-1 sull’ultima azione?” Ci giocavamo la salvezza, quel pareggio era troppo importante. Allora sono entrato nella porta del Genoa, ho preso il pallone e l’ho scaraventato il più lontano possibile. Allora non c’erano mille palloni: si giocava sempre con lo stesso, quindi l’arbitro avrebbe perso qualche secondo nel cercarlo. Spazientito dalla ricerca, avrebbe fischiato subito la fine. E infatti è andata così. In cuor mio – chiosa il “Netzer di Quezzi” – sono ancora convinto che quel piccolo gesto abbia contribuito a far sì che l’arbitro ponesse subito fine alla contesa. Peccato non avere esultato con la squadra, ma in quel momento la salvezza della Samp veniva prima di ogni cosa».
ROBERTO BORDI