Anche il grande Enrico Ghezzi è un blucerchiato! Chi l’avrebbe detto?
Chi conosce Ghezzi sa che è un soggetto brillante, strampalato, tritato dalle sue stesse visioni, dalle sue associazioni mentali da “cannabinomane” in corpo di sano. Oltre alle decine di libri che ha scritto di critica cinematografica è noto al grande pubblico per aver ideato quel programma lungimirante e a suo tempo rivoluzionario intitolato “Blob”.
Nel marzo del 1998 si tenne un memorabile dialogo, poi riportato nel libro “Discorso su due piedi”, tra Enrico Ghezzi e Carmelo Bene: un altro mostro dei nostri tempi, attore teatrale ma non solo, che folgorò la scena e fece la storia, (non volendola assolutamente fare).
La conversazione tra le due teste calde aveva come oggetto il calcio. Visto però da due individui atipici, due poeti, che parlano tra loro come se fossero due ubriachi al bancone di un’osteria. Uomini che, probabilmente, non hanno mai giocato a calcio in vita propria e che ne parlano dal punto di vista magico dell’artista e del grande regista. Lontani dal sudore, dai calci negli stinchi, dalla terra bagnata che ti infanga la maglietta. Incentrati soltanto sulla bellezza che il calcio può ispirare e che ne ha fatto insospettabile materia da letteratura, trattata nel tempo da innumerevoli scrittori.
Per rendere l’idea, in “Discorso su due piedi” Enrico Ghezzi e Carmelo Bene portano avanti scambi di opinioni di questo calibro (ovviamente il loro amore calcistico è tutto per il Brasile):
Ghezzi: “Il Brasile è forse una squadra che ci dà l’impressione di essere veloce? Mai. Se dovessimo definire il Brasile, è lento. E’ addirittura rallentato. Sembra che stia arrivando il gol? Ecco no, un passaggio in più!”.
Carmelo Bene: “Si’, ma la palla viaggia a velocità supersoniche col Brasile”
Ghezzi: “La palla col Brasile potrebbe non esserci”.
Bene: “E’ successo di recente in coppa America: Ronaldo e Romario sono in un fazzoletto, con otto avversari intorno e col portiere in uscita, e la palla non si vede più...”
Questo per rendere l’idea: le loro erano visioni ispirate e allucinate. Forse vedevano un super-calcio dove più che di tecnica si assisteva a numeri da illusionisti. Ad un certo punto, disquisendo di bellezze varie, i due dialoganti riflettono sugli stadi brasiliani e su quelli europei. Ecco, in breve, le battute.
Carmelo Bene: “Tornando al Brasile, loro giocano…”.
Ghezzi: “In tre metri come in trenta.”
Bene: “Sì, ma non c’è la pista d’atletica intorno. Come fai a sapere dove finisce il campo”.
Ghezzi: “Finisce in braccio al mondo… Ci sono i campi nuovi anche in Europa, senza piste. Come il bellissimo stadio di Marassi, NON A CASO DELLA SAMPDORIA”.
Così riflette Enrico Ghezzi. Per lui lo stadio di Marassi, in quanto bellissimo, appartiene alla Sampdoria. Parole del marzo 1998. Appena le ho lette mi è venuta voglia di applaudire.
3 commenti
Un applauso a Ghezzi ma anche all’autore dell’articolo! Anche chi di calcio ne sa poco può amarlo
E’ bella l’idea del calcio come fatto poetico che si polarizza su spazi ancestrali, l’eterno ritorno ad un passato che non muore, il ricordo di momenti indelebili, di amici che se ne sono andati, gioie e tristezze……la vita!
Grande ghezzi! Ottimo articolo… E’ sempre bello ricordare autentici miti come ghezzi e il maestro Carmelo Bene!