Fu il magico cantore delle gesta dei più grandi. Cantore del calcio che amiamo, pieno di passione. Eduardo Galeano se n’è andato ieri a 74 anni. Fu uno dei maggiori scrittori sul calcio: ne vedeva la magia, la forza simbolica e la poesia, ne disprezzava le miserie e le inevitabili forzature economiche.
“Come spiegherebbe a un bambino che cosa è la felicità?” – disse Galeano: “Non glielo spiegherei, gli darei un pallone per farlo giocare”.
Le opere maggiori di Galeano hanno per argomento l’America Latina.
Le vene aperte (1971) è la sua opera forse più conosciuta, tradotta in tutto il mondo, dove lo scrittore uruguaiano racconta i soprusi subiti dall’America Latina, un continente depredato nel corso della storia: dai conquistadores spagnoli e portoghesi dalle multinazionali americane ed europee, e, per ultimo, dalle classi dirigenti locali.
Ma Galeano fu grandissimo appassionato di calcio.
Uno sport magico, che lo scrittore vede in bilico tra la forza della bellezza delle gesta sui campi di gioco e la pressione economica che mira a renderlo solo un mezzo per fare business.
“Per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto. Dove meno te l’aspetti salta fuori l’impossibile, il nano impartisce una lezione al gigante, un nero allampanato e sbilenco fa diventare scemo l’atleta scolpito in Grecia” – dice Galeano.
Il suo libro sul calcio più conosciuto è “Splendori e miserie del gioco del calcio”(1997), capolavoro di micro-storie che che iniziano dai Mondiali del ’30 e terminano con le peripezie di Maradona e il Fenomeno Ronaldo.
Ecco uno dei passi più significativi:
“La storia del calcio è un triste viaggio dal piacere al dovere. A mano a mano che lo sport si è fatto industria, è andato perdendo la bellezza che nasce dall’allegria di giocare per giocare. In questo mondo di fine secolo, il calcio professionistico condanna ciò che è inutile, ed è inutile ciò che non rende. E a nessuno porta guadagno quella follia che rende l’uomo bambino per un attimo, lo fa giocare come gioca il bambino con il palloncino o come gioca il gatto col gomitolo di lana.
Il gioco si è trasformato in spettacolo, con molti protagonisti e pochi spettatori, calcio da guardare, e lo spettacolo si è trasformato in uno degli affari più lucrosi del mondo, che non si organizza per giocare ma per impedire che si giochi. La tecnocrazia dello sport professionistico ha imposto un calcio di pura velocità e forza, che rinuncia all’allegria, che atrofizza la fantasia e proibisce il coraggio. Per fortuna appare ancora sui campi di gioco, sia pure molto di rado, qualche sfacciato con la faccia sporca che esce dallo spartito e commette lo sproposito di mettere a sedere tutta la squadra avversaria, l’arbitro e il pubblico delle tribune, per il puro piacere del corpo che si lancia contro l’avventura proibita della libertà”.
2 commenti
Hasta siempre
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Nel salutare questo grande scrittore mi piace ricordare la sua descrizione dell’utopia: “E’ come l’orizzonte,cammino due passi e si allontana di due passi. Cammino dieci passi e si allontana di dieci passi. L’ orizzonte è irraggiungibile. Allora, a cosa serve l’utopia? Serve per continuare a camminare.” Ecco quello che si definisce “un grande pensatore”!!