Pensavo fosse buono invece era un calesse
Puntata numero 16
FRANçOIS OMAM BIYIK
(Sakbayenne, 21 maggio 1966)
RUOLO: Gigante salterino
TRANSITO BLUCERCHIATO: 1998
PRESENZE: 6
RETI: 0 (ovviamente)
COLPI DI TESTA: 547 di cui a buon fine 0
FISCHIOMETRO: 0 decibel, pari all’utilità del suo capo parlando di mero orizzonte calcistico blucerchiato.
Ebbene si… nella nostra lunga e gloriosa storia abbiamo avuto l’onere di far vestire i nostri strepitosi colori anche a veri e propri pachidermi della storia calcistica, uomini di dubbio valore calcistico che per un grandissimo colpo di culo sono entrati nell’immaginario collettivo senza avere apparentemente meriti reali.
Il caso più eclatante per quanto ci riguarda è rappresentato dal pennacchione d’ebano di stirpe reale, noto alle cronache con il nome di François Omam-Biyik.
François divenne universalmente famoso durante la giornata inaugurale delle italiche notti magiche datate 1990. Si era nella cornice della Scala del calcio, e ad un certo punto della partita il numero sette camerunense incontrò la storia e l’immortalità. L’avversario dei leoni indomiti era niente popò di meno che l’Argentina campione del mondo di sua maestà Diego Armando Maradona. Ebbene, Omam-Biyik ad un certo punto dell’incontro svettò in area di rigore, librandosi come un aliante nero, sovrastando il suo marcatore diretto e inzaccherando la sfera alle spalle di un colpevolissimo Pompidu.
Il Camerun, seppur in dieci uomini, batté così la super squadra della pampa portando il calcio africano nell’Olimpo e consegnando il nostro eroe agli annali.
Fine.
In quel mondiale Omam non segnerà più ed anzi la sua carriera imboccherà un lento declino (non che prima fosse in grande ascesa) che lo condurrà a chiudere la carriera in Messico, fra una cervezita ghiacciata e l’amore delle donne locali per le sue innegabili doti da mandingo.
A dirla tutta mantenne anche una media di realizzazione di un certo livello, sia sui campi da gioco che nelle alcove di città del Messico, ma si sa che il campionato messicano non brilla certo per competitività.
Sarebbe veramente una storia finita se non fosse che, nel mercato di riparazione del 1998 la Sampdoria di Enrico Mantovani decise di affidarsi a questo bellimbusto africano, prossimo alla pensione, per risollevare le sorti di un’annata senza particolari emozioni.
Francois, dal suo ritiro centro americano non poteva credere alle proprie orecchie. E non si fece sfuggire l’occasione. Chiuse a chiave la sua palafitta sull’Oceano, salutò le sue molteplici amanti e i suoi figli di letto e volò in Italia, garrulo come una monachella alla processione di santa Rosalia.
Ad accoglierlo sul campo di allenamento di Bogliasco c’era il povero Boskov, già leggermente frustrato per la presenza in squadra di un’altra mezza dozzina di inutili paracarri.
Nonostante le affettuose parole che Omam-Biyik riserverà al nostro amato labbro di Novi Sad (“è stato uno degli istruttori più importanti della mia carriera”… a 32 anni???), Vuja non dimostrò grande fiducia in lui dal momento che gli fece giocare solo 6 incontri, tutti da subentrante.
Di quelle prestazioni tutti si ricordano che l’unica sua filosofia di gioco era il colpo di testa, quasi che i piedi fossero unicamente un’umile estensione del suo capoccione utili a farlo svettare sempre più in alto. Saltava in area, saltava a centrocampo, saltava in difesa: saltava sempre, indirizzando però ogni volta la palla nel senso opposto al gioco della Samp.
A fine stagione tornò al suo buen retiro messicano, dove svernerà definitivamente fino al 2000, anno in cui decise di appendere gli scarpini al chiodo.
Oggi vive da monumento vivente in Camerun, paese nel quale gestisce una scuola calcio composta unicamente da suoi eredi salterini, fatti rientrare a Yaoundé dai quattro angoli del globo.