Nuovo appuntamento con Roberto, grande Sampdoriano, già autore de La Rametta Blucerchiata per Il Lavoro.
“Un’immagine della festa organizzata allo Stadio Olimpico di Roma per il quarantennale del primo scudetto laziale mi ha portato a un pensiero riguardo ai sentimenti dei tifosi, non sempre “lineari”.
E devo dire che io stesso ho avuto una reazione “emotiva” rispetto all’immagine di Roberto Mancini in maglia biancoceleste.
“Che ci fa lì?” mi sono detto così, di primo impatto, nel vedere una vecchia gloria blucerchiata, che si diceva avesse proprio i nostri colori “simbolicamente” aderenti al corpo come una seconda pelle.
Ma subito dopo ho dato l’avvio all’attività dei neuroni cerebrali e ho capito il senso della “scoperta dell’acqua calda”. Il tifoso, per natura, è un elemento assai irrazionale, il cui amore per la propria squadra va oltre ogni logica considerazione.
In certi frangenti si “innamora” di un giocatore che con la sua bravura contribuisce ad elevarne le sorti.
Ed il rapporto allora si trasferisce su un piano puramente emozionale e molto contraddittorio al punto che diventa una sorta di relazione antropofagica, una speciale forma di “cannibalismo” nella quale il tifoso “divora” simbolicamente il campione in nome di una sua presunta naturale e definitiva appartenenza a quella collettività.
Come dire che “è nostro e non sarà più di nessun altro”, perché è diventato un tutt’uno con quella squadra per la quale nutriamo un amore, questo sì, “eterno”.
Purtroppo il grande sentimento annebbia le menti ed il ritorno, dopo il lungo viaggio oltre le Colonne d’Ercole, ci riporta a quella realtà che nel calore dello stadio rifiutiamo nella sua autenticità.
Un giocatore, prima di tutto, è un professionista e dunque non si lega perennemente ad una squadra come un tifoso. Mi direte che ci sono (state) alcune cosiddette “bandiere”.
Una è ancora in attività e si chiama Totti (onore al merito), un’altra ha appena abbandonato le scene (Zanetti, altro grande). Ma sono le eccezioni che confermano la regola.
Quando vedevo Vialli e Mancini, i famosi “gemelli”, li immaginavo come eterne icone blucerchiate per sempre con quella maglia addosso. E non poteva essere altrimenti secondo la “mia” logica.
Poi uno è andato alla Juventus dove ha vinto campionato e coppe tra cui quella che un suo “insano” gesto (anzi due…) ha impedito potesse entrare nella bacheca della Samp, diventando anche beniamino ed eroe bianconero. L’altro è finito alla Lazio dove pure ha vinto scudetto e coppe varie e pure lui sarà sempre ricordato nel firmamento dell’ “altra squadra di Roma”. Quindi, anche se mi dispiace ammetterlo, so che non sono più solo nostri.
E credo che qualcuno penserà che il mio sia un discorso un po’ folle. Non è così. E’ solo la rappresentazione di una forma di candido utopismo che impedisce di vedere la realtà.
E questa ci dice che, sempre, la ricerca dei propri obiettivi, la realizzazione del successo personale, non coincidono con l’astratta idealizzazione di chi vive un certo mondo attraverso la lente di Platone.
E allora non resta che concludere con il solito vecchio adagio: “gli uomini, tutti, anche i presidenti, passano, solo la Samp resta.”
E questo nessuno ce lo può togliere”.
1 commento
Roberto avrebbe potuto fare quel che sta facendo ora Totti, ma per colpe in parte sue, in parte di altri, non è stato così…..
Vialli è stato sacrificato nel nome del bilancio e la sua cessione ci costo’ una coppa dei campioni in quanto, già venduto, scese in campo con comprensibili ‘tarli’ in testa che lo portarono a sbagliare gol che in altre circostanze non sbagliava…
Immagino che provino affetto verso la nostra città, i nostri colori e noi tifosi, ma nulla di piu’, sono rimasti perchè c’era chi li pagava e gli garantiva i successi delle big, finito quello se ne sono andati, magari senza sbattere la porta, ma se ne sono andati….