Leggere su Repubblica la bella intervista di Gianni Mura a Giovanni Lodetti, ex grande centrocampista sette polmoni del Milan, che pure ha militato nella Samp di Bernardini e del Presidente “Avvocato di campagna” Mario Colantuoni, è stato come risalire ancora sulla macchina del tempo ed intraprendere un lungo viaggio nel passato, in un’epoca diversa.
Fine anni sessanta e primi settanta che, dice il Giuan, “sono stati i più belli del secolo e non solo per il calcio…c’era più lavoro, più speranza, più passione, c’era qualcosa nell’aria che adesso non c’è più.”
E’ vero che quando si parla della propria giovinezza ci si abbandona, magari perdendo un poco di obiettività, ad un’analisi molto sentimentale sedimentata dalle emozioni che caratterizzano lo stato d’animo di quei tempi, però è indubbio che allora la vita fosse più semplice, meno stressata, direi, semplicemente, più naturale e meno compromessa con le “necessità” imposte dalla società dei consumi.
Il mondo del “pallone”, come lo chiamavano i vecchi genovesi, non subiva ancora le attenzioni e le pressioni di strutture organizzate come le TV di oggi indirizzate unicamente all’ottenimento del profitto. A mio parere c’era più “sanità” in quello stato mentale che inevitabilmente è stato intaccato dalla bramosia del denaro.
Certamente anche allora era notevole la differenza tra quanto guadagnava un calciatore e un semplice lavoratore, ma con un diverso impatto emotivo, e non comunque nella misura odierna. Lodetti racconta che all’esordio in Serie A a Ferrara, vittoria del Milan 3-0 sulla Spal, ricevette un premio di 200 mila lire (100 mila a punto) e che nel ritorno a casa per paura che in tram (!) gli rubassero i soldi andò a piedi dall’Arena a Piazzale Corvetto e prima di cena li consegnò (!) a suo padre che guadagnava 45 mila lire al mese. Alla fine, continua, “papà mi ha detto: ‘brao Gioannin!’ e se li è messi in tasca. Un po’ ci sono rimasto male, speravo che almeno un deca me lo lasciasse(!), ma mi è passata subito.”
Immagino che quei punti esclamativi rendano bene l’idea di come si viveva in quegli anni e mettano in evidenza le indubbie e macroscopiche differenze con l’epoca odierna. Ricordo che il calcio in TV era limitato ai filmati, in rigoroso bianco e nero, della “Domenica Sportiva”, senza ovviamente ospiti in studio che non fosse il conduttore.
Un’altra trasmissione che rammento con particolare nostalgia ed affetto (“Calcio Domani”) andava in onda nel sabato pre-serale ed era molto attesa perché venivano presentate le partite del giorno dopo. E poi a me piaceva in modo particolare perché ad essa, dopo il TG e Carosello, faceva seguito “Il Musichiere” programma seguitissimo condotto da Mario Riva che quando alla fine cantava “Domenica è sempre domenica” già mi faceva pregustare il giorno di festa, e, dopo la rituale Messa e le ancor più canoniche paste di “Colombino” a Certosa, c’era naturalmente l’attesa per il risultato della Samp.
Non sempre, comunque, si seguiva la partita perché a 16 anni, o giù di lì, bisognava pensare alle ragazze, a come agganciarne almeno una per fare coppia fissa. Per questo si doveva dedicare il tempo giusto all’attività di ricerca della “mina”, così era detta la “fidanzata” senza impegno. E allora si usava andare a ballare all’Estoril in Corso Italia, al Jolly Danze nella zona dei Teatri o al mitico 20/26 di Via Venti. Però il pensiero del Doria era sempre fermo nella mente.
Tra uno shake e un lento si pensava: che starà facendo? “Oggi col Milan è molto dura e se pareggiamo è come una vittoria”. Ma poi questa idea fissa scompariva, per un po’, quando col primo bacio capivi che la ragazza “ci stava”. Poi, finito il pomeriggio, appena usciti dalla sala, c’era una cosa sola da fare, andare al primo bar, magari Donelli in Galleria Mazzini, dove, con un grande batticuore, cercavamo con occhi pieni di apprensione una cosa oggi ovviamente superata, un autentico reperto archeologico, il tabellone verde scuro con i risultati. E il cuore allora andava a mille, quasi quanto per il bacio di poco prima, perché si bramava unicamente sapere “cosa aveva fatto la Samp”.
Ed era gioia o tristezza. Più quest’ultima però. Eravamo al tempo delle salvezze all’ultima giornata, del Doria di Lippi e Suarez , e Lodetti il quale oggi, per rimarcare la differenza tra il calcio di quei tempi e quello odierno, dice che: “Catozzo, un tecnico del Milan, telefonava alle 22,45 e se non rispondevi era multa.”
Adesso a quell’ora se ne vanno in discoteca con la (uso, per restare nel tempo andato, un termine desueto) “fuoriserie”. Lui, il Giuan, ci aveva messo quasi due anni per farsi la 6OO, mentre: “Niang aveva la Ferrari appena arrivato al Milan. Ma non so se sono felici, hanno tutto in apparenza ma non la passione.”
Lo credo anch’io.
2 commenti
belin bellissimo…comunque sarà vero che gente come niang avrà anche la ferrari, ma la fica,quella vera,quella sudata dopo ore di sguardi e seductions, ce l’abbiamo solo noi poveracci….loro c’hanno la mussa perchè sono ricchi. noi perchè siamo uomini veri.
Grande Giuan mio quasi compaesano, aggiungo che nei primi anni al Milan mio zio lo accompagnava in Lambretta all’allenamento, prima di ripassare a prenderlo dopo il lavoro
E la storia di quando ormai ritirato al parchetto chiese a dei ragazzi di farlo giocare a calcetto, tutti lo derisero non conoscendolo, dopo averlo visto all’opera gli diseero “vecchio, ma sei forte!”
Ogni tanto mi capita di vederlo in macchina, una normalissima utilitaria