Nell’anno di grazia 1968, meglio conosciuto come “Sessantotto”, sono successe cose straordinarie.
Tutto è cominciato in Francia, a Parigi, con le barricate sulle quali si ergeva la mitica figura del trascinatore Daniel Cohn Bendit, Daniel il rosso com’era soprannominato. Da lì partì la rivolta che si propagò in tutto il continente e specie in Italia dove, nel mondo studentesco, prese campo la leadership di Mario Capanna la cui attività verrà celebrata nel libro “Formidabili quegli anni” e che si ricorderà anche per il lancio di uova al pubblico paludato della Scala per la prima del 7 Dicembre.
L’obiettivo generale era quello di rovesciare la società borghese ed in parte ci si riuscì specie nell’assunzione, nel tempo, di una nuova mentalità collettiva (“L’immaginazione al potere”).
Ora però parlare di cose serie e raccontare una storia legata al Genoa è davvero imbarazzante. Ma era tanto per inquadrare questa vicenda che avvenne in quell’anno in cui per l’appunto accaddero fatti assai importanti ed episodi da burlesque calcistico. Il campionato di serie B (tanto per cambiare…) a 21 squadre era terminato con due retrocessioni dirette (Potenza 23 punti e Novara 35) e ben cinque squadre appaiate a 36 punti(Lecco, Genoa, Messina, Perugia e Venezia). In quel tempo…. per stabilire la terza e la quarta da gettare nel limbo del semiprofessionismo non esistevano altri sistemi che gli spareggi. Che iniziarono il 30 giugno con un Genoa-Venezia 2-1 e sarebbero terminati il 14 luglio. Ma solo il primo turno. E sì, perché al termine di ben dieci partite la classifica disse che il Messina, a zero punti, era per il momento la terza retrocessa, mentre le altre quattro, tutte a 5 punti, avrebbero dovuto giocare un ulteriore mini torneo per arrivare al verdetto finale. Questo ebbe inizio il 18 luglio e qui comincia il racconto picaresco che mi vide in parte protagonista nel giro dei miei amici doriani.
Ed è necessario premettere un fatto che, nell’età dei computers e delle facili comunicazioni, qualcuno catalogherà questa, giustamente, come documentazione geroglifica rinvenuta nelle antiche tombe dei faraoni. Ovviamente non ci furono trasmissioni RAI (il tempo della comunicazione continua era ancora di là da venire…) e tutto questo ambaradan fu gestito mediaticamente dal “Secolo XIX” che impiantò una serie di altoparlanti dove allora aveva la sede e cioè Piazza De Ferrari. Ogni pomeriggio di quella “calda” estate, l’agorà (si fa per dire…), allora non ancora pedonalizzata, si riempiva di “bibini” in attesa dei risultati delle varie partite che si giocavano in contemporanea. Pensate un po’ cosa hanno dovuto sopportare! Non ne sono certo perché non l’ho mai visitato (ne preferisco altri come il Louvre o gli Uffizi) ma nel museo (sic!) del Genoa non credo che si parli di quegli avvenimenti. E comunque la direzione del giornale pensò bene di stabilire dei contatti anche con alcuni locali delle delegazioni (bar, in genere) che telefonicamente avrebbero ricevuto, di volta in volta, aggiornamenti sulla partita dei rossoblù.
Da noi, a Rivarolo, il punto di collegamento fu il Bar Verrina il cui titolare, oltre che grande genoano, era stato un ottimo giocatore e al tempo della militanza nel Napoli veniva soprannominato “La Stella del sud”. Io allora frequentavo, con la mia compagnia, il Baretto che distava poche decine di metri dal luogo del misfatto…. Ed eccoci al 19 luglio. A Bergamo si gioca ancora Genoa-Venezia. La partita langue sul punteggio, come si diceva un tempo, “ad occhiali”, quando il mio amico Mario con la sua bella voce senza inflessioni alza la cornetta e chiama il bar Verrina. Me lo ricordo come fosse ieri. “Pronto, qui è Il Secolo. Genoa 1 Venezia 0. Ha segnato Rivara.” Prima di mettere giù abbiamo il tempo di sentire grida di gioia dall’altra parte. “O la segnou Rivara!!!!” Non potete immaginare le risate. E a questo punto che si fa? Io, con un amico, decido di andare in avanscoperta e mi dirigo verso la mini fossa rossoblù. Facciamo gli indifferenti, come passassimo lì per caso. Ma quando vediamo il grosso cartello fuori dal bar non possiamo trattenerci. C’è scritto in grande con il pennarello: Genoa 1 – Venezia 0 – Gol di Rivara ma tutto annullato con due grandi tratti a ics. A questo punto non sappiamo proprio che fare specie alla vista del nostro amico-nemico Ninni, genoano viscerale. Con calma giriamo l’angolo e poi ci lasciamo andare ad una sonora risata non avendo però fatto i conti con il “nostro” il quale, forse mangiando la foglia, ci aveva seguiti apostrofandoci velenosamente in genovese “Ah gran figgi de bagasce!”. Aveva individuato gli autori della burla. Ricordo che a quel punto ci guardammo e dicemmo che questa è la classica storia da raccontare ai nipoti. Appunto.
Per la cronaca quell’anno la Samp di Bernardini arrivò ottava, alla pari della Roma, con 27 punti, Il Genoa invece, nella mini classifica, arrivò terzo e si salvò per il rotto della cuffia.
Ma anche di questa magrissima soddisfazione bibina non c’è traccia nel museo rossoblu.