No, lo ammetto. Quella bolletta non l’avevo pagata. Ero da poco arrivato in Danimarca, in quel di Copenhagen. Avevo da poco intrapreso la carriera di “tester” di un particolare tipo di birra prodotto utilizzando luppolo fermentato nei capienti intestini dei suini locali, e conoscevo poco la lingua.
Conoscevo le donne locali, questo sì. Le donne danesi che sfilavano lungo i marciapiedi, mettendo in bella mostra il loro corpo vichingo. Sbavavo, sperperavo soldi nel quartiere a luci rosse di Copenaghen e dimenticai di pagare la bolletta.
Mi arrivò questo incomprensibile foglio, ben lontano dai bollettini postali che ero abituato a ricevere, e lo cestinai senza pensarci troppo. Non ci pensai più, continuai tranquillamente il mio nuovo impiego, profumatamente pagato, e tra un collasso, un sonno etilico, una sveltina alla “maniera scandinava”, le mie giornate trascorrevano felici. Ma un giorno, qualche tempo dopo, una potente seduta di “pork-beer testing” sul divano del mio confortevole monolocale di VesterBrogade fu interrotta da uno scampanellìo insistente alla porta.
Mi tirai su, era dura: la mente obnubilata dall’alcool, le gambe che rispondevano a malapena agli impulsi del cervello. Mi trascinai a stento verso l’ingresso, barcollando. Sembravo un vecchio sbronzo, un vecchio stronzo. “Arrivo… checcazzo, arrivo!”, …era la migliore pork beer che avessi mai bevuto.
Che intestino eccellente doveva avere quel grasso suino, per aver prodotto cosi tanta meraviglia, siffatta bontà… L’intestino di un porco, l’intestino di un principe.
Non guardai dallo spioncino, non ci pensai proprio.
So solo che afferrai la maniglia, la girai e in un attimo sentii come un treno dritto dritto in mezzo agli occhi. Per una frazione di secondo vidi una sorta di troll pelato davanti a me, un pugno gigantesco infrangersi sul mio volto e poi il buio. Mi svegliai non so dopo quanto, e mi trovai seduto su di una sedia, polsi e caviglie legate. Davanti a me, il mio aguzzino mi parlava in danese, sputacchiando gocce di saliva per la violenza con cui mi aggrediva verbalmente.
Una vena gli pulsava sulla fronte, attraversandogli l’enorme cranio pelato. Non capivo nulla, ero ubriaco, frastornato , spaventato e soprattutto come già detto, assolutamente privo di ogni base grammaticale dell’idioma danese…
Mi tirò in faccia un bicchiere d’acqua, continuava a ripetermi qualcosa tipo “Inkassovirksomhed”… poi quando si accorse che non capivo una parola, prese fiato, si sedette – sembrò anche riacquistare un briciolo di umanità – e mi disse, stavolta in inglese, sventolandomi un foglio sotto al naso “I’m a collector, why didn’t you pay this fucking bill?” (“Sono l’esattore, perché non hai pagato questa fottuta bolletta?”)
Ero incredulo. IO SAPEVO CHI AVEVO DAVANTI!!! LO AVEVO VISTO MILLE ALTRE VOLTE, SAPEVO CHE SI ERA ” RICICLATO” IN QUESTO RUOLO DI ESATTORE, MA NON CI AVEVO PENSATO PRIMA!! Era lui, uno dei più grandi randellatori che la storia del calcio ricordi, secondo solo a quel mietitrebbia di Vinnie Jones: Stig Toefting il martello di Danimarca.
Quel che seguì purtroppo non fu piacevole, non feci neppure a tempo a rivelargli che lo avevo riconosciuto. Mi picchiò cosi forte, cosi animalescamente che vomitai fuori litri e litri di pork-beer, un molare e quasi l’anima. Il pestaggio si protrasse sino a che non indicai esanime al mio aguzzino un barilotto di birra vuoto in cui tenevo i miei risparmi. Lo prese, se lo mise sotto braccio dopo aver controllato che dentro vi fossero effettivamente quattrini sonanti (anche più di quelli che effettivamente dovevo), se lo mise sotto il braccio tozzo e pulsante e se ne andò.
Io fui ritrovato in una pozza di sangue e succhi gastrici dalla mia vicina ottantasettenne, Lotte. Mi ricoverarono per quasi un mese.
Da allora, non ho più scordato di pagare una bolletta.