Pubblichiamo l’intervento per SampGeneration di Roberto C., grandissimo sampdoriano. Roberto è lo storico autore de “La Rametta blicerchiata” per le pagine de Il Lavoro.
C’è un momento, in un bel film di Joel Schumacher (Il momento di uccidere), in cui l’avvocato “Matthew Mcconaughey”, per convincere una scettica giuria della giustezza della proprie tesi, fa un esperimento che sarà decisivo al fine del successo e dell’assoluzione del suo cliente. Mette, cioè, i giurati nella condizione di pensare non in funzione del proprio essere, quindi di se stessi, ma in relazione ad altri.
Facciamolo anche noi. Ecco quindi, che, per una volta, chiudendo gli occhi come i personaggi di quel film, dobbiamo cercare di pensare come fossimo tifosi di un’altra squadra. In una città che chiameremo “G” ci sono due società di calcio, “S” e “G”.
La loro rivalità è storica, fondata principalmente sulla conquista della supremazia cittadina che si manifesta per lo più nello scontro diretto: il Derby. E poi c’è lo sfottò fra i tifosi delle due formazioni. Questo è il sale che condisce la contesa, l’aspetto che, alla fine, dà senso a questa rappresentazione. Ma se tutto ciò è l’ambito premio cui maggiormente si aspira, vuol dire che le prospettive per entrambe sono piuttosto “provinciali”.
Ad un bel momento però, come nelle favole più belle, succede quel che non ti aspetti. Nella società “S” arriva un personaggio sorprendente, volitivo, ambizioso, colui che cambia il corso della storia. E da quel momento, dopo alcuni anni di assestamento, avvengono fatti straordinari. La squadra vince, vince, e vince, diventa una “grande” del calcio italiano (e non solo). Ed è simpatica a tutti, proprio per la filosofia che incarna e che è diretta emanazione del modus vivendi del Presidente.
Ed ecco allora la visione del “tutto” da un altro punto di vista. Immaginiamo allora di essere tifosi di “G”(facciamo uno sforzo…) e pensiamo alle sofferenze vissute in tutti quegli anni per tutte le partite importanti giocate dalla squadra “S”. Perché questa è la realtà, si vive per i propri successi, ma quando non ci sono si spera negli insuccessi altrui. Una mattina ci svegliamo e pensiamo che la sera stessa “quelli” devono giocare un quarto di finale, italiano o europeo. Un’altra volta si tratta di semifinali. E poi di finali. Ce ne sono state tante. E le vittorie? Tante anche queste. Pensiamo alla nostra sofferenza e a quell’invidia che ci macera e non ci fa gustare quei pochi momenti di gloria (si fa per dire) nei quali “loro” erano comunque più avanti. Perché la nostra squadra, in realtà, non ha mai ha vinto un trofeo, mai ci ha portati (noi tifosi) nella famosa piazza con la fontana a festeggiare un successo vero, e non una banale promozione. In fondo il nostro “odio” nei loro confronti nasce proprio da qui, non perché sono “S”, ma per la loro avvenuta mutazione vincente, per quella mentalità raggiunta che li fa così diversi da noi.
Ad un certo punto pensavamo che tutto fosse rientrato ed invece ancora in un tempo non troppo lontano (2009) eccoti un’altra finale. Per fortuna l’hanno persa. Ma quanta sofferenza dal risveglio la mattina della partita al pensiero che avrebbero potuto sollevare la Coppa.
E’ vero, non possiamo dirlo forte, ma siamo proprio dei frustrati! E per di più non potremo rifarci in alcun modo se non con la rituale e superata “supremazia” cittadina. Ormai il calcio è cambiato ed i successi sono solo una chimera. E a noi non rimane che la nostra cosiddetta “storia” che poi, diciamocelo francamente, è una grande illusione forgiata nella fucina della retorica trionfante. Ed il tanto strombazzato museo non è che la rappresentazione di tutto ciò.
Ma ora, per miracolo, ci svegliamo, riapriamo gli occhi. Siamo tifosi di “S” e questo ci basta. Abbiamo però compreso cosa frulla nei loro cervelli ed ora possiamo tornare con la mente ai successi vissuti con le nostre membra, con il cuore, con tutti noi stessi sugli spalti di tutta Italia e d’Europa nel ricordo di grandissime imprese e anche di certe sconfitte, come quella “suprema”, che comunque ci pone nella storia con la S maiuscola e non nelle piccole vicende da pollaio che vivevamo quando ancora, con gli occhi chiusi, stavamo in un IO traslato.
Una storia impossibile. Come dire, si possono vincere trite e ritrite, consunte e usuali meschine battaglie, ma alla fine ciò che conta è aver vissuto tanti anni alla grande e ricordarlo quando saremo vecchi e vedere che in un’altra bacheca c’è solo una “specie” di impresa “inglese” che ha portato il nulla e una miseranda coppetta degli anni sessanta che nessuno ricorda, perché equivalente alla Coppa del Nonno di vecchia memoria. (Scudetti? Novant’anni fa? Stendiamo un velo pietoso…). Nell’altra invece c’è il valore assoluto, tanti trofei da far ubriacare “quelli”, morire d’invidia per una squadra ed una Società che saranno ricordate per sempre. E non per la vecchiaia che, si sa, non fa gloria, ma perché si chiama Sampdoria!!