Torna l’appuntamento con le Memorie blucerchiate, del grande tifoso Roberto C. A lui la parola
Mia moglie mi dice spesso che ho visto troppi film e che a volte osservo la realtà attraverso il filtro ingannatore del “ciac si gira”. In effetti può essere vero e lo verifico soprattutto in questi giorni in cui l’essere umano mette in mostra il peggio di sé stesso. Io le ho detto che anche lei in quanto a miraggi non mi sembra molto indietro soprattutto quando propone che per frenare l’avanzata dei carri armati dovrebbe porsi il Papa in persona, fisicamente cioè, davanti ai tank russi. Lì per lì mi è sembrata una stramberia poi ho letto Michele Serra che, spostando il tiro, vorrebbe che il prossimo Consiglio dei Ministri d’Europa avesse sede a Kiev. E allora ho capito una cosa e cioè che la maggior parte della consorteria umana, nell’espressione dei singoli appartenenti, che siano piccoli rappresentanti o figure da copertina, manca di quella forza rappresentativa che sta nel desiderio di compiere od affermare atti che stravolgano il consueto vivere, il tran tran esistenziale, gesti che appaiono come manifestazioni di scandalo.
Pensavo queste cose, in una pausa di tranquillità rispetto alla cronache atroci della realtà ucraina, guardando lo spezzone finale della partita Fiorentina – Juventus di Coppa Italia. I Viola, indubbiamente, non meritavano di perdere e maggiormente in quel modo così beffardo. Ecco, secondo me, nel mondo di utopia che, perché no, potrebbe anche diventare realtà, Allegri avrebbe dovuto chiamare a sé Vlahovic e ordinargli di tirare nella propria porta. Un’autorete, insomma. E a domanda chiarificatrice rispondere: “Non mi piace vincere così”. E in una volta sola avrebbe posto termine all’odio tra fiorentini e juventini, all’ostilità dei viola nei confronti dell’attaccante serbo e forse fatto un gesto tale da cambiare la storia del calcio. Oltre, naturalmente, sconvolgere i canoni utilitaristici del “prima il guadagno” caratteristica principale dell’economia di mercato. E ancora spiegato, con quella mossa assai generosa, ciò che affermò in merito Pier Paolo Pasolini il quale, da grande amante del football, lamentava che “in Italia il calcio non avesse ancora avuto l’onore di un interesse intelligente”. E che soprattutto il neocapitalismo avrebbe portato una situazione fino alla nausea per stordire i tifosi-lavoratori. Uno sport senza poesia ma solo improntato al frusciare dei soldi. Tutto ciò perché, come diceva il grande scrittore americano Charles Bukowski “L’uomo è vittima di un ambiente che non tiene conto della sua anima.” Va da sé che tutto poi va di conseguenza ed ogni fatto, nel caso che ci riguarda, appartenente al mondo del calcio, si riverbera in situazioni che non dovrebbero stupire. Ad esempio se il tal calciatore che a lungo ha dichiarato l’amore per la maglia poi d’improvviso abbandona la barca per lidi altamente remunerativi in Italia o all’estero, per luoghi pur privi di afflato sportivo, non bisogna stupirsi, anche perché non ha fatto niente di male seguendo l’andamento utilitaristico di questa società consumistica. Ma ciò che non va bene sta invece dalla parte dei tifosi che restano attaccati alla propria terra magari minimalista ma affermano di quel giocatore che è “uno di noi”. Ma quando mai! Per favore, finiamola con questi brutti luoghi comuni! E’ triste ammetterlo ma la storia è la stessa del Marchese del Grillo: “Io sono io e voi non siete un cazzo!”
Cambiamo registro. Non vorrete mica che tralasci di parlare della Samp? Anche qui vorrei essere chiaro perché purtroppo bisogna ammettere che la nostra amata ormai è diventata una sorta di paria del calcio italiano. Ha scoperto l’acqua calda, dirà giustamente qualcuno. Però è assai triste ammetterlo. L’altra sera, a Bergamo, a mio parere c’era un rigore nettissimo a nostro favore ma il fatto è passato del tutto inosservato, senza il minimo accenno all’esame del Var. Sarebbe successa la stessa cosa se a patirne le conseguenze fosse stata una “grande”? Magari la stessa Atalanta che sapeste quanto mi urta vederla ormai definire tale! A me appare ancora come una sorta di parvenu del calcio per il suo ancora vuoto palmares pur se in campo sembrava una squadra di “marziani”.
Comunque lentamente, ma costantemente, sto prendendo coscienza del nostro viaggio all’indietro verso le posizioni che ci competevano negli anni sessanta/settanta con l’unico obiettivo della salvezza, quando si riusciva a raggiungere. E feste grandi in Piazza De Ferrari. In tutto questo contesto si sta allontanando, per conseguenza, l’interesse per questo sport che ormai produce ben poche emozioni. E siccome devo tornare a pensare la Sampdoria come una provinciale, al tempo stesso, non avendo più obiettivi di vertice, non solo, ma anche di partecipazione a Coppe europee, non disdegnerei il fatto di emozionarmi per una o più squadre italiane che potessero vincere un trofeo continentale come avveniva al tempo della televisione in bianco e nero per i trionfi dell’Inter di Helenio Herrera e del Milan del “Paron” Nereo Rocco. In quel tempo non esistevano gli odi tra i tifosi e una rappresentante italiana aveva il seguito di tutto il paese. Sarà anche per una questione di età, ma personalmente posso proprio dire che quelli erano “bei tempi”. Sempre per tornare a situazioni nelle quali anche il cuore abbia la sua giusta presenza e non solo la cecità dell’essere contro. E comunque non c’è il rischio che succedano di queste cose perché le nostre rappresentanti dimostrano ancora oggi di essere forti in Italia e deboli in Europa. Ma la Samp sta diventando un cruccio. Ormai sembra in balia di un destino che si sta sempre più materializzando. La partita di Udine è il paradigma del fallimento blucerchiato. Gli stessi cronisti hanno stigmatizzato il fatto che sembrava una squadra priva di reazioni, rassegnata al proprio destino. Le nostre rivali sono più combattive.
Ad esempio lo Spezia che meritava il pareggio allo Stadium con quei bianconeri che probabilmente sabato passeggeranno sulle nostre spoglie. Lo stesso Genoa, che ormai è condannato, ha messo in mostra una tenacia a noi sconosciuta. Cose da Sampdoria, direbbe qualcuno. Bisognerebbe convincersi che la retrocessione non sarebbe un male irrimediabile e da questa ennesima caduta potrebbe poi rinascere, come l’Araba Fenice, una nuova realtà. Ma senza una guida sicura e poderosa economicamente come potrebbe realizzarsi il rinnovamento? Forse questa è ormai una questione da riservare ai giovani. Da parte mia sembra che il tempo sia scaduto. Sarò anche pessimista ma non vedo in me un futuro da tifoso “felice” ma solo una realtà in cui la mediocrità sarà il tratto comune in cui saranno banditi tutti i voli pindarici. Peccato, però, perché, a mio parere, un tifoso che non sogna è un ossimoro. Dovrò quindi campare di ricordi e dunque abbandonare la realtà o quantomeno viverla senza più pensare ad una dimensione che la Samp non potrà più avere. Forse con la rassegnazione potrò giungere alla pace interiore. Per quel che riguarda l’immanente, parafrasando il filosofo tedesco Martin Heidegger, “ormai solo il Venezia ci può salvare”
5 commenti
Commento ineccepibile caro Roberto purtroppo il neocapitalismo è sempre esistito e sempre esisterà fa parte della bruttezza dell’essere umano è questione di percentuali se la stragrande maggioranza è (usiamo un termine soft) barbaro e una minoranza buono e corretto hai perso sei circondato quindi ti devi attendere puoi parlare quanto vuoi fare proseliti ma rimarrà una voce fuori dal coro. Tornando alla seconda parte del tuo discorso ti dirò che quest’anno credo possa essere l’anno della svolta mi spiego meglio ovvero se retrocediamo rischiamo grosso in quanto non abbiamo una vera società alle spalle che possa farci sopravvivere anche in questa serie di conseguenza fare la fine del Livorno di turno se ( e qui la vedo dura) mentre se mantenessimo la serie A potrebbero aprirsi magari non nell’immediato qualche spiraglio per un’eventuale cessione societaria. Dulcis in fundo per fare un parallelismo con Allegri e Vlahovic il nostro allenatore per coerenza dopo non aver saputo dare alla squadra alcuno spirito combattivo e affermazioni post partita aberranti avrebbe dovuto dare le dimissioni questo per sottoscrivere in toto il grande scrittore americano Bukowski sul discorso dell’anima quella sconosciuta ormai in in mondo dove Attilio Regolo la fa da padrone con la sua botte.
Ps. Scusa ti devi arrendere non attendere
a mio parere ci puo’ salvare pure lo spezia, certo coi gobbi ha giocato bene ma se non vince col cagliari subentra l’ ansia pure in loro…speriamo di salvare la pelle perche’ se manteniamo la categoria potrebbe essere l’ anno della svolta come scrive luigi p.s. nelle coppe europee mai tifato per le cosiddette big nostrane e mai lo faro’
nel calcio neocapitalista – brutto, noioso e svuotato di qualunque contenuto affettivo, sono d’accordissimo – ci vogliono comunque dei capitali. Tecnici, umani (siamo carenti anche su questo fronte), ma anche soprattutto finanziari.
Al di là delle chiacchiere, noi continuiamo ad aspettare fideisticamente che si materializzi un fantomatico “cavaliere bianco” (un fondo americano, un emiro, una cordata di imprenditori italiani e chi più ne ha da inventare ne inventi), e chiudiamo gli occhi su un dato numerico indiscutibile: per ripianare le perdite e coprire la montagna di debiti accumulati da ferrero, oltre a fare qualche piccolo investimento tecnico (giovani promettenti) ci vorrebbero a occhio e croce qualcosa come 250 milioni di euro. Chi li ha, se non è fuori di testa, dovrebbe metterli in un brand ad alta visibilità internazionale o in titoli ultrasicuri come azioni Apple, Campari ecc, bund tedeschi o treasury bond americani. Altrimenti rischia di buttarli al vento se non ha veramente un progetto di lungo termine. Ecco perché sarà difficile uscirne. meno che meno con giampaolo
UN TIFOSO CHE NON SOGNA E’ UN OSSIMORO
Caro Roberto,
queste tue parole andrebbero scolpite nella roccia!
Dal mio punto di vista hai centrato perfettamente la questione,
o perlomeno hai riassunto ciò che il sottoscritto prova verso la propria squadra del cuore…
Siccome con le parole non sono un granchè,
riporto una frase che lessi tanti anni fa su una rivista calcistica e nella quale mi ritrovo al 100%:
” Si è tifosi della propria squadra perchè si è tifosi della propria vita, di se stessi, di quello che si è stati, di quello che si spera di continuare a essere. E’ un segno, un segno che ognuno riceve una volta per sempre, una sorta di investitura che ti accompagna per tutta la vita, un simbolo forte che si radica dentro di te, insieme alla tua innocenza, tra fantasia, sogno e gioco.”
Ecco,
quello che mi piacerebbe che accadesse un domani ( speriamo non troppo lontano )
alla nostra Samp è proprio questo: FAR TORNARE I PROPRI TIFOSI A SOGNARE!
Perchè hai voglia di provare a trasmettere la tua passione a figli ( per chi ne ha ) e/o nipoti,
se continueremo a navigare in questa “realtà in cui la mediocrità sarà il tratto comune in cui saranno banditi tutti i voli pindarici” temo ( ma spero ovviamente di sbagliarmi…) che saremo destinati ad un lento oblio…