Il viaggio non è lungo. Tre quarti d’ora di treno da Napoli e Castellammare di Stabia è lì, pronta ad accoglierti in tutta la sua bellezza. Davanti c’è il mare, con vista mozzafiato sul Vesuvio e una passeggiata che muore all’orizzonte svanendo nel cielo terso del golfo di Napoli. Dietro, il monte Faito: 1.131 metri che sembra quasi di toccare con un dito. In mezzo, una città con una storia di quasi 2.400 anni e circa 60 mila abitanti. Il più importante? Fabio Quagliarella, che a Castellammare di Stabia è nato e cresciuto, non solo calcisticamente, nel quartiere dell’Annunziatella.
Ogni volta che può, il capitano della Sampdoria torna qui. Castellammare ha qualcosa di magico che gli ricorda la sua Genova. O forse è Genova a ricordargli la sua Castellammare, visto che mai come in questo caso i confini tra il luogo di nascita e quello di adozione sono sfumati a tal punto da scomparire. Più di 700 km di distanza annullati dalla somiglianza che accomuna le due città, dal punto di vista morfologico e del carattere dei loro abitanti. Infatti, incredibile a dirsi, genovesi e stabiesi sono accomunati da un sentire comune basato sullo strano mix di riservatezza e joie de vivre.
Ma la gente di Castellammare (che pur vivendo in provincia di Napoli si sente solo stabiese e lotta da una vita per farsi riconoscere come sesta provincia campana) è un pizzico più aperta. Me ne accorgo un attimo dopo essere sceso alla stazione ferroviaria, una delle più importanti della cosiddetta Circumvesuviana, che da Napoli porta fino a Sorrento. Ad accogliermi, in un fresco pomeriggio baciato dal sole, è la persona che mi farà da Cicerone durante la mia giornata in terra stabiese per risalire alle origini del mito di Fabio Quagliarella. Si chiama Gianfranco Piccirillo.
Dopo i convenevoli di rito, scambiati con tanto di doppio (e sincero) bacio sulla guancia, gli chiedo subito che squadra tifa. “Prima lo Stabia e poi il Napoli”. “Quindi prima la Juve?”, gli faccio io. ALT. Qui la parola “Juve” non si può pronunciare. “Cominciamo male”, penso. Ma Gianfranco, presidente dell’associazione Stabiamore che si batte per la valorizzazione del patrimonio culturale e sportivo di Castellammare, fa finta di niente. Il suo amore per lo Stabia, e di riflesso per tutti quei calciatori – e sono tanti – che portano in giro per l’Italia il nome della città, è totale. Tra loro c’è anche Fabio Quagliarella. Che, da queste parti, è come Padre Pio. Se non di più.
Dopo un caffè in tazzina bollente bevuto sul lungomare, con vista aperta su sua maestà il Vesuvio, mi racconta la storia delle “Vespe”, il soprannome dei giocatori della squadra locale che lo scorso weekend è stata promossa in Serie B dopo cinque anni di purgatorio in C. Si parla di Samp, di Stabia, del Napoli e di Napoli. E ovviamente dei record infilati uno dietro l’altro da Quagliarella, capocannoniere della Serie A con 22 gol e 3° nella classifica della Scarpa d’Oro. “A Genova il nostro Fabio sta vivendo una seconda giovinezza, la gente di Castellammare è felice per lui e per il tifo doriano”.
Ma il sogno di Gianfranco, e con lui di tutta la città, è un altro. “Quando sarà il momento, Fabio lascerà la Samp per giocare nella squadra della sua città”. Lo Stabia, senza “Juve”. “Non è bastato vincere un referendum tra i tifosi delle Vespe per toglierlo”, racconta con un pizzico di delusione. Che lascia subito spazio all’orgoglio quando comincia a parlare della storia del club stabiese, avversario dei blucerchiati nella Serie B 2011/2012 e nella Coppa Italia dell’anno successivo. Non manca qualche sfottò, da entrambe le parti. “Gianfranco, ricordi il gol di Icardi? Abbiamo vinto nonostante l’espulsione di Pellè…” – “Vero Roberto, ma dimentichi quando vi abbiamo battuto in Coppa Italia e pareggiato al ‘Ferraris’ con rete di… esatto! Marco Sau“.
Ma il ricordo più bello (e insieme il rimpianto più grande del popolo stabiese) riguarda il campionato campano del 1945, vinto dai gialloblù davanti a Napoli e Salernitana. Nelle fila stabiesi giocava un certo Romeo Menti, simbolo del Grande Torino scomparso a Superga nel 1949 e omaggiato 35 anni dopo con l’intitolazione dello stadio cittadino. “Con lui – racconta Gianfranco mentre gli luccicano gli occhi – trionfammo nel torneo regionale. Una storia simile a quella dei Vigili del Fuoco dello Spezia, a cui hanno dato un titolo onorifico. Noi purtroppo lo stiamo ancora aspettando”.
Con lui – e con gli altri stabiesi in cui ho il piacere di confrontarmi – si parla di pallone. E non potrebbe essere altrimenti. Castellammare, che vanta un patrimonio di 28 sorgenti termali, non è divisa solo da corso Vittorio Emanuele, i suoi Champs Elysées circondati a 360 gradi da palazzi signorili, locali eleganti e meravigliosi scorci tra mare e montagna. Ma anche – e soprattutto – dalla passione per il calcio. Un rapido sondaggio tra gli amici di Gianfranco, che mi sembra di conoscere da sempre, conferma l’esistenza di una spaccatura tra chi preferisce il Napoli e chi le Vespe. Un po’ come il cuore del nostro Fabio, 50 per cento partenopeo e 50 per cento stabiese.
Ora però bisogna dare il via alla missione Quagliarella. “Voglio vedere casa sua e soprattutto il famoso campetto in terra dove ha tirato i primi calci”.
Detto, fatto. Dieci minuti di macchina e dal lungomare ci spostiamo a nord di Castellammare, verso Pompei. Qui c’è il quartiere dell’Annunziatella, attraversato dall’omonima via dove è iniziato tutto. Quagliarella è un campione, a parlare per lui sono i 149 gol in Serie A. Ma è soprattutto una persona sensibile e composta, ai limiti della timidezza. A dirlo è il mister.
Giampaolo? Macché. Ciro Benvenuto, edicolante e scopritore – oltre che primo allenatore – di Fabio. Lo andiamo a trovare nel suo negozio, ma lui svicola. Finge di non essere lui, dice che il signor Benvenuto è assente. Lo assecondiamo, si capisce che non ha voglia di raccontare la stessa storia per l’ennesima volta. Ma un’ora dopo, grazie alla buona parola messa da Gianfranco, ci aspetta nel bar dello stadio “Spinelli”, il piccolo impianto dove il piccolo Quagliarella ha segnato i suoi primi gol. Sorride, Benvenuto.
“Giocava con noi nei Pulcini dell’Annunziatella. Aveva 5 anni, era il più piccolo dei suoi compagni. Un giorno giochiamo il derby con la Pro Juventute, alla fine del primo tempo perdiamo 0-3. Lo faccio entrare. Il risultato finale? 5-3. Per noi, ovviamente. Con 5 gol di Fabio”. Comincia così il racconto di Benvenuto, il primo a scoprire il talento di FQ27 vedendolo calciare “in modo secco e rasoterra” tra le aiuole del parco Nuovo Tetto.
Non un parco, in realtà, ma un cortile lungo e stretto incastrato tra due palazzoni dove oggi vivono ancora i genitori di Quagliarella: “don” Vittorio, il papà, e mamma Susanna. Eppure, Benvenuto parla di Fabio quasi come se fosse suo figlio. “Ho visto subito che aveva qualcosa di speciale. L’ho portato nei Pulcini dell’Annunziatella, che poi si è fusa con la Pro Juventute. Quindi il passaggio alla Junior Gragnano, squadra di un paese vicino al nostro dove, a 12 anni compiuti, ha vinto il pallone d’oro della Campania”.
Era il 1995 e tutti volevano Quagliarella. Anche la Juve. “Il primo a farsi sentire è stato l’osservatore bianconero Giuseppe Furino. Ma un infortunio al ginocchio ha costretto Fabio a tenere il gesso per 40 giorni, facendo saltare tutto. Quindi è stato il turno di Bruno Conti, che lavorava per la Roma, ma alla fine a spuntarla è stato il Torino. È a quel punto – racconta ancora Benvenuto – che Fabio ha spiccato il volo”. A parte il lato calcistico che tutti ben conosciamo, che persona è Quagliarella? “Il suo tratto distintivo è la timidezza, che conserva fuori dal campo ma che sparisce non appena l’arbitro fischia il calcio d’inizio. Ora però, con l’avanzare degli anni, ha raggiunto livelli straordinari. Dove chiuderà la sua carriera? Sarà lui a decidere. Fabio è un ragazzo sensibile – continua il mister – e in credito con la fortuna. Peccato solo per il record di gol consecutivi in solitaria sfumato contro il Napoli, compensato però dalla recente doppietta in Nazionale”.
Lo salutiamo con una stretta di mano, ma il bello deve ancora venire. Ci invita a dare un’occhiata in campo. Si gioca un derby molto particolare: a sfidarsi sono i Pulcini di Juve Stabia e Pro Juventute. I secondi indossano una maglia davvero strana: bianca con strisce blu, rosse e nere. I più perspicaci hanno già capito: la maglia da trasferta della Sampdoria. Com’è possibile? “Fabio ci ha regalato mute di maglie del club genovese per tutte le età”, rivela sornione l’esperto tecnico stabiese. Nel frattempo, la partita va avanti e a un certo punto l’attaccante della Pro Juventute si presenta a tu per tu con il portiere avversario, bravo a ribatterne il tiro per poi capitolare sul tap-in. Il bimbo ha la maglia numero 27, la stessa del nostro Fabio. Di nome fa Roberto, di cognome Quagliarella! È suo nipote, figlio del fratello Gennaro. “Ma non bisogna mettergli pressione”, raccomanda Benvenuto.
È presto per dire se possa ripercorrere le orme dello zio. Che, campioncino in erba, aveva bruciato le tappe: Annunziatella, Pro Juventute e Junior Gragnano, fino al passaggio da adolescente al Toro su segnalazione dell’ex calciatore di Napoli e Juve Stabia, Gaetano Musella, scomparso qualche anno fa. Bravi i granata a strapparlo alla concorrenza di Juve e Roma che, come detto, per tesserare il giovane Quagliarella, avevano sguinzagliato i loro migliori osservatori. Il resto è storia. L’esordio in Serie A a 17 anni, le esperienze a Chieti e Firenze, il ritorno al Torino, il passaggio all’Ascoli e la prima, stupenda stagione in blucerchiato con 13 gol segnati in 35 presenze.
È il 2007 quando la Samp lo perde alle buste con l’Udinese, dove mette a segno 25 gol in due stagioni. Abbastanza per convincere il Napoli a puntare su di lui. Il sogno di una vita per Fabio, fin da piccolo tifoso sfegatato degli azzurri. Ma la sfortuna di cui parlava Benvenuto si materializza presto sotto forma di una divisa. Quella indossata da un “amico” di famiglia, un agente della polizia che qualche anno dopo sarà condannato per stalking.
Un’esperienza terribile, che gli farà accettare l’offerta della Juventus per allontanarsi fisicamente dai luoghi che gli ricordano le assurde accuse recapitategli per posta e per telefono. I tifosi partenopei non gli perdonano il “tradimento” e gli dedicano uno striscione offensivo. Fabio si tiene tutto dentro fino a quando, al termine di una partita giocata con la Samp (dove era tornato nel 2016 dopo l’ennesimo ritorno a Torino su sponda granata), piange davanti alle telecamere confermando la fine di quella brutta storia.
Una storiaccia terminata anche grazie all’intuito di “don” Vittorio, il papà di Quagliarella. Lo incontriamo nel corridoio che costeggia il campo “Spinelli”. “Qual è il segreto della sua longevità? Fabio è attentissimo alla linea, non sgarra mai. E al posto degli integratori tanto di moda tra i giovani, preferisce la cara e vecchia acqua”, racconta Quaglia senior. “Il suo gol più bello? Difficile dirlo. Forse quello segnato al Chievo l’1 aprile 2007, ma nel cuore ho anche la rovesciata contro la Reggina, il 17 dicembre 2006: ero in tribuna”, svela divertito il signor Vittorio. Che poi, dopo avere parlato del rapporto speciale tra Fabio e il tecnico blucerchiato Marco Giampaolo (“Con lui mio figlio ha segnato il primo e il 100° gol in Serie A…”), puntualizza: “Sbaglia chi lo considera un centravanti: per me Fabio è una mezzapunta”.
Una mezzapunta in una città di portieri. A pensarci bene, negli ultimi anni Castellammare di Stabia ne ha lanciati diversi: su tutti Gennaro Iezzo e Antonio Mirante (per lui un breve trascorso alla Sampdoria), senza dimenticare poi Gianluigi e Antonio Donnarumma, nati nella vicina Pompei ma cresciuti calcisticamente proprio nella stessa città di Fabio Quagliarella.
Ancora oggi, FQ27 è legatissimo alla sua Castellammare. Ci torna spesso e non si tira indietro quando c’è da dare una mano. “Nel 2009 tutta la città partecipò a una raccolta fondi per Chicco Muci, un bimbo affetto da una malformazione cerebrale che purtroppo non gli ha dato scampo. Fabio ha fatto la sua parte”, racconta mister Benvenuto. “Nel 2010, quando la Fincantieri stava attraversando un momento difficile, Fabio si schierò dalla parte dei lavoratori che manifestavano per il diritto al lavoro. Firmò anche la bandiera simbolo delle nostre rivendicazioni”, ricorda invece Giovanni Castelli, operaio dello stabilimento Fincantieri di Castellammare di Stabia.
Lì ha visto la luce il primo pezzo del viadotto che sorgerà a Genova sulle ceneri di ponte Morandi. Una notizia che crea una linea immaginaria tra la città della Lanterna e Castellammare, i due luoghi del cuore di Fabio Quagliarella. La Samp vuol tenerselo stretto, a parlare per lui sono i 22 gol e gli 8 assist messi a segno quest’anno in A, numeri da capogiro che hanno spazzato via il record di 19 reti della passata stagione. Andando via dallo “Spinelli”, Gianfranco quasi mi prega di far tornare il Quaglia “a casa”. “Ma la sua casa è Genova“, gli rispondo con una battuta. Lui mi dà una pacca sulla spalla e mi riaccompagna in stazione. Per tornare a casa. Dal capitano.
8 commenti
un bel gemellaggio con lo stabia non sarebbe male
Ma il terzo nella foto con Quagliarella e Ziegler chi è?
Andrea parola direi prima di rasarsi a zero
Anche se ora guardandolo meglio assomiglia piu’ a bastrini
Andrea Parola ( belin, l’avevo completamente rimosso! ) sicuramente no, potrebbe essere Bastrini, bisognerebbe andare a ripescare un tabellino di quella partita che credo fosse un Parma -Samp 0-2 del 2006/07…
Tabellino ripescato bastrini giocava febbraio 2007
Bravo SOLODORIA ottimo lavoro, credo di aver sbagliato il risultato vincemmo 1-0 e non 2-0,gol di Fabio…
Ciao ciao Vialli york capital ci molla. La vedo grigia con questo romano a governare chi troppo vuole nulla stringe non riesco a vedere un gran futuro con i romani finite le plusvalenze anche perché improvvisano sempre. Va be’ e meno male che sembrava cosa fatta la cessione.